Scuola: licenziamenti
di massa
LA
GELMINI VUOLE LA GUERRA?
L’AVRA’
Sciopero ad oltranza per piegare il
governo!
di Fabiana Stefanoni
(*)

Lo striscione dei precari della scuola di
Modena:
dal blog http://precariscuolamodena.wordpress.com/
“Rassegnatevi”: è questa la risposta che la
Gelmini ha dato ai precari della scuola che hanno perso il posto. Sono almeno 65
mila i lavoratori della scuola a tempo determinato a cui a settembre non è stato
rinnovato il contratto di lavoro. Altrettanti dovranno accontentarsi di uno
stipendio ridotto o, nella migliore delle ipotesi, di sedi di lavoro più
disagiate. Ma, soprattutto, per loro non esistono più prospettive di assunzione.
La Gelmini lo ha detto con chiarezza: non ci sono soldi per assumere 200 mila
precari. Ovvio, rispondiamo noi. Il governo ha preferito dirottare le risorse
verso altri lidi: gli incentivi alla Fiat di Marchionne, le spese di guerra, il
sistema degli ammortizzatori sociali utile a congelare (temporaneamente) la
protesta operaia. Non è un caso che la Gelmini abbia lodato le scelte di
Marchionne: un modo per ricordare, se ce ne fosse bisogno, che stanno entrambi
dalla stessa parte della barricata.
16 mila assunzioni in ruolo:
l’ultima briciola che cade dal tavolo
10 mila docenti e 6500 lavoratori Ata
(personale tecnico-amministrativo e bidelli): sono queste le ultime assunzioni
in ruolo nella scuola pubblica italiana. Una miseria, se si considera che sono
più di 200 mila i precari che, saltuariamente (con supplenze annuali o di pochi
mesi), lavorano nelle scuole. Per tutti gli altri non resta che la precarietà
eterna, oppure la disoccupazione. La “riforma” Gelmini ha preso il via due anni
fa, con lo smantellamento del sistema dell’istruzione elementare: ora entra in
vigore la ristrutturazione dell’istruzione secondaria, con il taglio di decine
di ore di insegnamento settimanali in tutti gli istituti. Per le tasche dello
Stato si tratta di un grosso risparmio, che ricade sia sulle spalle degli
studenti (che vedranno un drastico scadimento dell’offerta didattica) sia sulle
spalle dei lavoratori della scuola.
Di fronte a questo sfacelo, sono ignobili i commenti rilasciati dalle direzioni di Cisl e Uil: ancelle del governo Berlusconi, che hanno avuto il coraggio di parlare pubblicamente di “grande risultato” in riferimento alle misere assunzioni. Un “grande risultato” che pesa sulle spalle di decine di migliaia di precari che hanno perso il posto di lavoro. Invece, la direzione della Cgil - che si pone, in questa fase, all’opposizione e chiama alla mobilitazione – ha fino ad oggi scambiato le parole coi fatti, limitandosi a scioperi dimostrativi e centellinati e rifiutandosi di dare vita a proteste incisive persino quando esisteva la disponibilità da parte dei lavoratori (ricordiamo, a titolo di esempio, che la Cgil si è rifiutata di proclamare lo sciopero degli scrutini di giugno “per non disturbare studenti e famiglie”). Parallelamente sul versante del sindacalismo di base – diviso anche nella scuola in mille rivoli - manca ad oggi un fronte combattivo e unitario.
Nonostante si tratti di una categoria molto frammentata, da parte dei lavoratori della scuola non è mancata la costruzione di mobilitazioni significative. I primi scioperi generali della scuola, all’indomani dell’insediamento dell’attuale governo, sono stati molto partecipati: centinaia di migliaia di lavoratori in piazza sono stati traditi dalle direzioni sindacali, che non hanno voluto prolungare la lotta preferendo, a livelli diversi (seduti a fianco del ministro Gelmini nel caso di Cisl e Uil, da interlocutori esterni nel caso della Cgil), usare le buone maniere col governo. Similmente, sono sorti in tutta Italia coordinamenti di lotta dei precari della scuola, coordinamenti e assemblee autoconvocate degli insegnanti, presidi permanenti sotto gli uffici scolastici. L’assenza di una direzione in grado di trasformare questi momenti di lotta in una mobilitazione ad oltranza ha permesso al governo di segnare, per ora, un punto a suo favore: i tentativi estremi e disperati da parte dei precari di cercare almeno un po’ di visibilità con scioperi della fame e altre azioni simboliche non permetteranno di respingere i tagli e i licenziamenti.
Di fronte a questo sfacelo, sono ignobili i commenti rilasciati dalle direzioni di Cisl e Uil: ancelle del governo Berlusconi, che hanno avuto il coraggio di parlare pubblicamente di “grande risultato” in riferimento alle misere assunzioni. Un “grande risultato” che pesa sulle spalle di decine di migliaia di precari che hanno perso il posto di lavoro. Invece, la direzione della Cgil - che si pone, in questa fase, all’opposizione e chiama alla mobilitazione – ha fino ad oggi scambiato le parole coi fatti, limitandosi a scioperi dimostrativi e centellinati e rifiutandosi di dare vita a proteste incisive persino quando esisteva la disponibilità da parte dei lavoratori (ricordiamo, a titolo di esempio, che la Cgil si è rifiutata di proclamare lo sciopero degli scrutini di giugno “per non disturbare studenti e famiglie”). Parallelamente sul versante del sindacalismo di base – diviso anche nella scuola in mille rivoli - manca ad oggi un fronte combattivo e unitario.
Nonostante si tratti di una categoria molto frammentata, da parte dei lavoratori della scuola non è mancata la costruzione di mobilitazioni significative. I primi scioperi generali della scuola, all’indomani dell’insediamento dell’attuale governo, sono stati molto partecipati: centinaia di migliaia di lavoratori in piazza sono stati traditi dalle direzioni sindacali, che non hanno voluto prolungare la lotta preferendo, a livelli diversi (seduti a fianco del ministro Gelmini nel caso di Cisl e Uil, da interlocutori esterni nel caso della Cgil), usare le buone maniere col governo. Similmente, sono sorti in tutta Italia coordinamenti di lotta dei precari della scuola, coordinamenti e assemblee autoconvocate degli insegnanti, presidi permanenti sotto gli uffici scolastici. L’assenza di una direzione in grado di trasformare questi momenti di lotta in una mobilitazione ad oltranza ha permesso al governo di segnare, per ora, un punto a suo favore: i tentativi estremi e disperati da parte dei precari di cercare almeno un po’ di visibilità con scioperi della fame e altre azioni simboliche non permetteranno di respingere i tagli e i licenziamenti.
La truffa degli
ammortizzatori sociali
Oltre al danno la beffa: la Gelmini,
provocatoriamente, ha definito i portavoce delle lotte dei precari “gente che fa
politica”. Non solo: facendo leva sul luogo comune degli “insegnanti fannulloni”
ha addirittura insinuato, riferendosi agli accordi tra Stato e Regioni, che i
precari spesso preferiscano l’indennità di disoccupazione a un posto di lavoro.
Non tutti avranno capito questo riferimento, ma è presto spiegato. La Gelmini si
riferisce al cosiddetto “contratto di disponibilità”, declinato in modo
parzialmente diverso da Regione a Regione. Si tratta di una sorta di cassa
integrazione al ribasso, con cui Stato e Regioni si impegnano a offrire – per
qualche mese e solo a una ristretta fascia di precari che hanno perso il posto
di lavoro - una rendita mensile di poche centinaia di euro, il punteggio che
serve per mantenere il posto nelle graduatorie, la priorità nelle chiamate per
le supplenze, i contributi pensionistici. In cambio, il precario che firma il
contratto (che è facoltativo) si impegna a essere letteralmente a disposizione
dello Stato e delle Regioni: non potrà rifiutare incarichi di supplenza che gli
verranno conferiti nella sua provincia (anche se, per ipotesi, la supplenza
dovesse essere a centinaia di chilometri da casa) e dovrà svolgere ogni
attività che gli venga proposta dalla Regione. Si tratta di una truffa: come la
cassa integrazione nelle fabbriche è un mezzo utile solo a procrastinare la fine
del lavoro, similmente questo contratto non è altro che l’anticamera della
disoccupazione. Tra l’altro i precari che potranno accedervi sono solo una
piccolissima percentuale di quelli che hanno perso il posto di lavoro.
Solo lo sciopero ad oltranza
può piegare il governo
Accanto alle provocazioni non mancano le
ipocrisie dei partiti della cosiddetta opposizione (borghese). Il segretario del
Pd Bersani si è presentato ai presidi dei precari garantendo la sua solidarietà:
fingendo di dimenticare che, ai tempi del governo Prodi, il decreto che portava
il suo nome è quello che ha trasformato, ben prima dell’avvento della Gelmini,
le scuole pubbliche in “fondazioni di diritto privato”, aprendo la strada agli
attuali processi di privatizzazione; fingendo di dimenticare che il primo piano
di licenziamenti di massa dei precari della scuola (40 mila) è stato varato dal
ministro Fioroni, cioè dal ministro dell’Istruzione del governo Prodi (col voto
a favore dei vari Vendola, Ferrero, di Pietro); fingendo di dimenticare che se
oggi 180 mila precari possono essere lasciati a casa senza nemmeno una lettera
di licenziamento è grazie al fatto che nessun governo di nessun colore si è
preoccupato di assumere in ruolo questo esercito di precari. Sappiamo anche che
i precedenti piani di ristrutturazione della scuola pubblica italiana targati
centrosinistra (come quello a firma Berlinguer) non erano per niente diversi,
nella sostanza, dall’attuale “riforma” Gelmini.
E’ importante che dalle lotte dei precari della scuola sia bandita l’illusione che qualche risposta possa venire dai partiti del centrosinistra: basti citare le prese di posizione degli amministratori locali del Pd contro il recente sciopero degli scrutini di giugno per capire che le parole contro i tagli alla scuola pubblica sono solo una recita a scopo elettorale. La crisi del capitalismo induce la borghesia a tagliare la spesa pubblica per fare cassa e preservare i profitti: nessuna soluzione contro i tagli potrà venire dai partiti del centrosinistra che quella borghesia si candidano a rappresentare in alternanza col centrodestra.
C’è una sola strada percorribile ed efficace per respingere i tagli: è la strada della lotta e dello sciopero ad oltranza. L’esempio ci viene dal Sudafrica: anche là, come in Italia, lo sciopero nei servizi pubblici è soggetto a forti limitazioni. Tuttavia, da giorni e settimane i lavoratori del pubblico impiego sono in sciopero, anche contro leggi e normative. Sappiamo che una mobilitazione di questo tipo potrà aver luogo solo se ci sarà una partecipazione di massa e, soprattutto, solo se la spinta propulsiva verrà dalle fabbriche. Il compito che ci dovremo porre in questo autunno sarà quello di costruirla.
E’ importante che dalle lotte dei precari della scuola sia bandita l’illusione che qualche risposta possa venire dai partiti del centrosinistra: basti citare le prese di posizione degli amministratori locali del Pd contro il recente sciopero degli scrutini di giugno per capire che le parole contro i tagli alla scuola pubblica sono solo una recita a scopo elettorale. La crisi del capitalismo induce la borghesia a tagliare la spesa pubblica per fare cassa e preservare i profitti: nessuna soluzione contro i tagli potrà venire dai partiti del centrosinistra che quella borghesia si candidano a rappresentare in alternanza col centrodestra.
C’è una sola strada percorribile ed efficace per respingere i tagli: è la strada della lotta e dello sciopero ad oltranza. L’esempio ci viene dal Sudafrica: anche là, come in Italia, lo sciopero nei servizi pubblici è soggetto a forti limitazioni. Tuttavia, da giorni e settimane i lavoratori del pubblico impiego sono in sciopero, anche contro leggi e normative. Sappiamo che una mobilitazione di questo tipo potrà aver luogo solo se ci sarà una partecipazione di massa e, soprattutto, solo se la spinta propulsiva verrà dalle fabbriche. Il compito che ci dovremo porre in questo autunno sarà quello di costruirla.
*dei coordinamenti di lotta dei
precari della scuola