Fare come in
Turchia!
I vostri manganelli non ci fermeranno!
Da Milano a Bologna a Napoli la repressione contro studenti e lavoratori
I vostri manganelli non ci fermeranno!
Da Milano a Bologna a Napoli la repressione contro studenti e lavoratori
di Adriano
Lotito
(coordinatore
nazionale Giovani di Alternativa Comunista)

Bologna, gli studenti
rispondono e mettono in fuga la polizia
Cambiano i governi, cambiano i
ministri, ma gli attacchi delle istituzioni ai danni degli spazi occupati e
autogestiti non cessano di farsi sentire, sulla pelle di tanti studenti e
studentesse, ma anche lavoratori precari, che dal nord al sud del nostro Paese
mettono in piedi progetti di gestione alternativi degli spazi. Se quest'anno era
cominciato all'insegna dello sgombero del Bartleby a Bologna e degli attacchi al
Guernica di Modena, senza dimenticare l'eclatante sgombero del Teatro Pinelli di
Messina, nell'ultimo mese abbiamo assistito ad una recrudescenza della
repressione, con un susseguirsi di sgomberi violenti, provocazioni e cariche
brutali della polizia. Milano, Napoli, ancora Milano, poi Bologna, e non è
ancora finita. Come Giovani di Alternativa Comunista, partecipi dei movimenti di
lotta e di occupazione che si sviluppano contro questo modello economico e
sociale, riteniamo doveroso mettere in luce la sistematica repressione avutasi
nell'ultimo mese, rappresentando, senza nessuno scrupolo verso il “politically
correct”, la grave sospensione dei diritti democratici attuata sistematicamente
dalle istituzioni borghesi di ogni livello.
Milano:
sgomberi della Libreria Ex-Cuem e del centro sociale Zam
Lunedì 6 maggio, al mattino, gli
studenti e le studentesse della libreria ex-Cuem, Università Statale, trovavano
lo spazio occupato completamente devastato: pavimenti divelti, muri abbattuti,
bacheche distrutte per ordine del rettore Vago. La libreria ex-Cuem era stata da
molto tempo abbandonata e in disuso fino a quando un gruppo di studenti non
decideva di rivitalizzarla, trasformandola in un luogo di discussione e di
lotta. Immediata la reazione dei ragazzi che occupavano un'altra aula
universitaria protestando contro lo sgombero senza preavviso. A questo punto
giungevano sul posto le forze del disordine, che hanno caricato violentemente il
gruppo di occupanti per tutto il pomeriggio, irrompendo nell'università. Ma i
ragazzi resistevano e respingevano le cariche.
Il giorno dopo centinaia di studenti
e studentesse scendevano in strada per un corteo diretto alla facoltà di Scienze
politiche, e a seguito di un'assemblea di denuncia del pesantissimo intervento
repressivo, tornavano a occupare la ex-libreria, cominciando a riarredarla dopo
il devastamento poliziesco ordinato dal rettore. Lo stesso rettore che in quella
giornata chiedeva agli occupanti di “tornare nell'ambito della legalità”,
riferendosi evidentemente alla legalità dell'accettazione passiva dell'ordine
imposto o, in alternativa, ai colpi di manganello. La medesima “legalità” di cui
più volte si è fatto portavoce lo “sceriffo arancione” Pisapia che, di contro
alle aspettative “rivoluzionarie” destate in alcuni al momento della sua
elezione a sindaco di Milano (anche per la responsabilità di chi a sinistra ed
estrema sinistra lo ha legittimato), ha mostrato nei fatti la sua chiara scelta
di campo: il campo dell'ordine costituito, il campo della “legalità” al sapore
di lacrimogeno, dunque il campo della repressione di ogni pratica di
riappropriazione degli spazi. Una scelta confermata appena due settimane dopo,
il 22 maggio, quando la polizia ha sgomberato brutalmente il centro sociale Zam:
cinque camionette della polizia e dei carabinieri e una cinquantina di agenti in
assetto antsommossa, accompagnati da circa una ventina di uomini della Digos, si
presentavano quella mattina in via Olgiati per sgomberare il centro sociale Zam
(Zona Autonoma Milano), nato in un palazzo abbandonato alla periferia sud di
Milano due anni fa. In questi due anni si sono organizzati centinaia di
concerti, un film festival, due laboratori di hip-hop e teatro e una palestra
con oltre 150 frequentatori. Uno spazio di socialità, uno spazio autogestito,
uno spazio che ha resistito per tutto quel pomeriggio alle cariche della
polizia, erigendo le barricate con tavoli e sedie, fino a quando non è partito
un corteo diretto a Palazzo Marino, sede del Comune, accolto anche questo a suon
di manganellate per impedire ai ragazzi di fare irruzione. La rabbia era diretta
in particolare contro Pisapia, il quale aveva promesso più spazi nella sua
“rivoluzionaria” campagna elettorale. Ma questo non si è smentito, prima
appellandosi per risolvere i problemi “nell'ambito della legalità”, poi
ricordando che gli spazi si ottengono solo mediante la partecipazione a “bandi
di concorso” che neutralizzerebbero il potenziale conflittuale nella burocrazia
dell'amministrazione comunale. In ogni caso gli occupanti non ci sono cascati e
il giorno seguente organizzavano un corteo di centinaia di partecipanti,
provenienti da Milano ma anche da altre città italiane, che convergevano su via
Santa Croce dove occupavano un nuovo edificio. Si tratta di una ex scuola di
proprietà comunale, dove subito veniva convocata un'assemblea e partivano i
lavori di ristrutturazione di contro alle numerose intimidazioni
dell'amministrazione comunale che “invitava” i ragazzi a lasciare lo stabile per
via... della struttura pericolante!
In ogni caso il nuovo Zam ha appena
cominciato a muovere i suoi primi passi e noi Giovani di Alternativa Comunista
esprimiamo la massima solidarietà nei confronti della lotta coraggiosa e
solitaria portata avanti da questi ragazzi contro le camicie arancio-brune di
Pisapia. La battaglia continua...
Napoli: ex-Lido
Pola resiste!
Di arancione in arancione, anche la
giunta De Magistris, l'altro “rivoluzionario” delle amministrative 2011,
conferma la sua naturale predisposizione alla legalità repressiva (o alla
repressione legale!). La stessa mattina in cui lo Zam veniva sgomberato, a
Napoli scattava una provocazione a tutti gli effetti nei confronti della nuova
occupazione ex Lido Pola a Coroglio, su litorale di Bagnoli. Alcuni
rappresentanti del Demanio e la Guardia di Finanza si presentavano minacciando
di sgombero lo spazio che per oltre 20 anni loro stessi hanno lasciato vuoto, in
completo stato di abbandono e di degrado. Una minaccia accompagnata da una
promessa. In una città come quella di Napoli, dove soprattutto alcune zone sono
da anni oggetto di speculazione da parte dell'amministrazione locale impegnata
nella svendita del patrimonio pubblico, studenti e precari si riappropriano di
spazi per restituirli alla città e farli rivivere con diverse attività, mentre
c'è dall'altra parte chi continua a sgomberare. La giornata del 22 maggio, da
Milano a Napoli, ha dimostrato la furia cieca, quella degli arancioni, che si
scatena sugli spazi liberati, per non dimenticare ancora una volta che i
responsabili hanno sempre un nome.
Bologna:
riprendiamoci Piazza Verdi!
Il giorno dopo, giovedì 23 maggio, la
repressione si scatenava anche a Bologna (altra città in cui governa una giunta
di centrosinistra sostenuta da Sel e Rifondazione). In Piazza Verdi, i militanti
del Cua (Collettivo Universitario Autonomo), avevano organizzato un'assemblea
pubblica in solidarietà ai lavoratori della Sodexo. La polizia, venti agenti in
tenuta antisommossa, arrivava in piazza e iniziava ad avanzare contro i ragazzi
e le ragazze che, di tutta risposta, lanciavano bottiglie e poi sedie cercando
di difendersi dalle cariche. Quattro giorni dopo, lunedì 27, sempre il Cua
organizzava un'assemblea di analisi dei fatti di giovedì in piazza Verdi.
Presenti anche i Giovani di Alternativa Comunista. Ma lo schieramento della
polizia ha cercato di impedire l'ingresso nella piazza intimando agli studenti
di allontanarsi. A questo punto inizia la battaglia e ci permettiamo di citare
la cronaca di InfoAut, che rappresenta quanto avvenuto quel giorno in piazza:
“Passano decine di minuti e mentre arriva mezza questura in piazza Verdi con
altri celerini schierati, il numero dei manifestanti aumenta. Le guardie non
cedono, sono determinate a reprimere la piazza, ma in risposta la determinazione
degli studenti e delle studentesse aumenta. I cordoni premono sui celerini, le
prime manganellate colpiscono le teste, e le scudate si alzano per tagliare le
braccia e i colli. Ma nessuno indietreggia. "Assemblea, assemblea!", e si spinge
in avanti ancora, non curanti delle mazzate, "piazza Verdi è nostra!", e anche
gli studenti che ai lati erano rimasti a guardare rispondono agli slogan e si
avvicinano alle guardie, che fanno i primi passi indietro. Ma le cariche,
schizofreniche si ripetono: due, tre, quattro, cinque. I manifestanti vanno
avanti e i carabinieri e la celere indietreggiano, indietreggiano e poi di corsa
si danno alla fuga: "carica!" grida la piazza, mentre le guardie in fuga
raggiungono le camionette a Largo Respighi e vi si rifugiano. "Abbiamo vinto!",
e questa volta per davvero!”.
Un ritratto fedele non solo dal punto
di vista descrittivo ma anche nel rappresentare le emozioni che in quella
occasione hanno attraversato la piazza. Piazza che è tornata a riempirsi martedì
4 giugno (mentre in Turchia si sviluppava il Movimento di Gezi Park), quando
sempre il Cua ha indetto un corteo per protestare contro la repressione e che ha
visto partecipare un paio di centinaia di ragazzi affiancati dai lavoratori
delle cooperative della logistica, da mesi in lotta contro i padroni e la
polizia. A
nche questa volta i Giovani di
Alternativa Comunista di Bologna erano presenti per portare la solidarietà
militante ai tanti attivisti che si sono mobilitati a difesa dei diritti di
espressione e di manifestazione. Eppure non possiamo fare a meno di criticare la
gestione del conflitto messa in pratica dal Cua: anche questa volta, come in
tante altre occasioni, la pratica del conflitto, seppure coraggiosa e ostinata,
è stata indebolita da una evidente disorganizzazione, dalla spettacolarità
dell'azione in luogo di una lotta ragionata, dall'estetica dello scontro come
surrogato di una vacuità paradossale in termini di parole d'ordine e
rivendicazioni programmatiche. Una prassi purtroppo molto comune all'interno dei
centri sociali in generale, e nell'autonomia bolognese in particolare, affetta
da quello che Slavoj Zizek definisce il “narcisismo della lotta”: quando il
conflitto diventa un fine in sé, e coloro che lo praticano s'innamorano della
propria immagine, al punto da non staccarsene più, mettendo da parte altre
prospettive che non siano quella della “cacciata dello sbirro”, legandosi dunque
ad una concezione della lotta che cessa di essere “pratica strategica” (Lenin)
per ridursi a mera “pratica estetica”.
I Giovani di
Alternativa Comunista nelle lotte
Come Giovani di Alternativa Comunista
e come Pdac continueremo a combattere in prima linea contro ogni tentativo di
repressione, al fianco di ogni esperienza di occupazione e autogestione, ma
sempre portando avanti un programma chiaro con parole d'ordine chiare e una
prospettiva strategica ben definita: la prospettiva della rivoluzione socialista
e del potere ai lavoratori. Una prospettiva che non abbiamo inventato noi, ma
che si è collaudata in quel grande laboratorio storico che è la lotta di classe:
lotta che continua anche in Italia, aldilà di ogni repressione poliziesca, da
Milano a Bologna a Napoli, e che guarda a Piazza Taksim a Istanbul, dove decine
di migliaia di studenti e lavoratori stanno aprendo la strada alla rivoluzione
in Europa.