Acqua
pubblica e nucleare
PER IL SI' AL
REFERENDUM
OLTRE IL
REFERENDUM
di Adriano
Lotito

Dopo una poderosa raccolta di firme e dopo
mesi di incessanti polemiche il tanto atteso referendum alla fine si farà. Il 12
e 13 giugno siamo chiamati ad esprimerci in merito a quattro quesiti.
I primi due riguardano la scottante questione della privatizzazione dell’acqua e
intorno a questa problematica si sono avvicendate varie posizioni, all’interno
dello schieramento di sinistra, che non mancano certo di limiti e ambiguità. Un
terzo riguarda il nucleare; un quarto il cosiddetto "legittimo impedimento".
Come Pdac abbiamo partecipato alla campagna e la nostra indicazione è
chiaramente quella di votare Sì. In questo articolo, in particolare, ci
soffermiamo sul referendum sull'acqua.
I due quesiti: contro
la privatizzazione dell’acqua e le mire lucrative del
capitale
Il primo dei due quesiti referendari riguarda l’abrogazione dell’articolo 23bis della legge 133 del 2008. Questo stabilisce che la gestione del sistema idrico nazionale venga affidato a soggetti privati o a società a capitale misto in cui il privato detenga comunque il 40percento del pacchetto azionario. Il secondo quesito invece riguarda la possibilità da parte del gestore privato di accumulare profitti sull’acqua. Infatti la norma che si intende abrogare prevede la possibilità, da parte del gestore privato, di caricare la bolletta dei cittadini del 7percento in più rispetto alla tariffa, senza nessun obbligo di reinvestimento e dunque per una ovvia quanto scandalosa mira di profitto personale. I fallimenti della gestione privata dell’acqua e i danni alla collettività sono stati già ampiamente dimostrati dall’esperienza recente. Non possiamo dimenticarci del caso di Aprilia e di altri 38 comuni della provincia di Latina, dove nel 2004 l’acqua pubblica finì sotto le mani della multinazionale francese Veolia. Il risultato fu un aumento spropositato delle bollette (dal 50 al 330percento). Tale Veolia che non a caso è uno dei soggetti economici più interessati a una scelta di gestione dell’acqua in direzione privatistica e che conta già oggi su diverse società specializzate dislocate sul territorio italiano. Insieme a questa ci sono decine di altre aziende che potrebbero accumulare profitti enormi nel caso si intraprenda una strada del genere; aziende che sicuramente - va precisato - non si demoralizzeranno di fronte ad una buona riuscita del referendum e che continueranno a lottare incessantemente perché il loro profitto prevalga sulla volontà popolare.
Il primo dei due quesiti referendari riguarda l’abrogazione dell’articolo 23bis della legge 133 del 2008. Questo stabilisce che la gestione del sistema idrico nazionale venga affidato a soggetti privati o a società a capitale misto in cui il privato detenga comunque il 40percento del pacchetto azionario. Il secondo quesito invece riguarda la possibilità da parte del gestore privato di accumulare profitti sull’acqua. Infatti la norma che si intende abrogare prevede la possibilità, da parte del gestore privato, di caricare la bolletta dei cittadini del 7percento in più rispetto alla tariffa, senza nessun obbligo di reinvestimento e dunque per una ovvia quanto scandalosa mira di profitto personale. I fallimenti della gestione privata dell’acqua e i danni alla collettività sono stati già ampiamente dimostrati dall’esperienza recente. Non possiamo dimenticarci del caso di Aprilia e di altri 38 comuni della provincia di Latina, dove nel 2004 l’acqua pubblica finì sotto le mani della multinazionale francese Veolia. Il risultato fu un aumento spropositato delle bollette (dal 50 al 330percento). Tale Veolia che non a caso è uno dei soggetti economici più interessati a una scelta di gestione dell’acqua in direzione privatistica e che conta già oggi su diverse società specializzate dislocate sul territorio italiano. Insieme a questa ci sono decine di altre aziende che potrebbero accumulare profitti enormi nel caso si intraprenda una strada del genere; aziende che sicuramente - va precisato - non si demoralizzeranno di fronte ad una buona riuscita del referendum e che continueranno a lottare incessantemente perché il loro profitto prevalga sulla volontà popolare.
I limiti del referendum
e l’ipocrisia della sinistra governista
Di fronte a questa situazione appare chiaro come il referendum per quanto importante non può, per sua stessa natura, rappresentare pienamente gli interessi delle masse popolari in quanto non è certo un voto che può fermare l’interesse economico di queste grandi multinazionali ma solo una lotta vincente nelle piazze. E questo vale per l’acqua come per il nucleare, sul quale già ci siamo soffermati in articoli precedenti.
Di fronte a questa situazione appare chiaro come il referendum per quanto importante non può, per sua stessa natura, rappresentare pienamente gli interessi delle masse popolari in quanto non è certo un voto che può fermare l’interesse economico di queste grandi multinazionali ma solo una lotta vincente nelle piazze. E questo vale per l’acqua come per il nucleare, sul quale già ci siamo soffermati in articoli precedenti.
Oltretutto c’è da rilevare come in realtà
nel referendum non possano esprimersi tutte le categorie sociali, soprattutto le
più deboli: che ne è infatti di quel 7.5percento di immigrati (vale a dire quasi
cinque milioni) che vengono ogni giorno sfruttati, perseguitati, segregati e che
avvertono il problema economico in misura sicuramente maggiore rispetto al resto
della popolazione lavoratrice italiana? Perché a loro non è dato esprimersi su
un tema di così scottante rilevanza per le tasche di lavoratori e lavoratrici?
Un fatto, questo, che mette ulteriormente in dubbio la ipotetica “democraticità”
del suddetto referendum, a dispetto della “massima espressione della volontà
popolare” che predicano costituzionalisti e intellettuali nei salotti
televisivi.
Se si vanno ad analizzare le posizione della
sinistra governista (e semi-riformista) in merito al referendum il quadro è
desolante: la solita stantia retorica sui beni comuni ben sintetizzata da alcuni
slogan quanto mai vaghi (“si scrive acqua si legge democrazia”) oppure poetiche
omelie sulla sacralità della vita e dell’acqua come quelle profuse nelle ultime
interviste dal caro Nichi Vendola che nel mentre è ben attento a lasciare che
l’acquedotto pugliese rimanga una società per azioni pronta all’ingresso dei
privati. Tutti i partiti della sinistra italiana (da Rifondazione a vari gruppi
che si auto-definiscono come più a sinistra del Prc) si impegnano a non andare
oltre la semplice esortazione al voto e, nelle parole e nei fatti, non sono
interessati ad un proseguimento della lotta anche dopo il referendum. Come se
fare ritornare il sistema idrico un ente di diritto pubblico (e riaffidarlo
all’amministratore unico e alla lottizzazione della politica borghese) fosse
sufficiente per affermare il carattere pubblico dell’acqua.
La posizione dei
rivoluzionari: una gestione dell’acqua da parte dei
lavoratori
Di fronte all’ipocrisia delle posizioni appena descritte, il Partito di Alternativa Comunista, ancora una volta, sceglie un’altra strada: una strada dei lavoratori per i lavoratori, una strada realmente democratica, realmente opposta agli interessi di multinazionali e partiti borghesi. La nostra strada si costruisce nella e attraverso la lotta e ha come obiettivo un’autentica gestione dell’acqua pubblica. Una gestione che noi riteniamo debba essere affidata direttamente nelle mani di lavoratori affinché non predominino gli interessi borghesi ma piuttosto gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione. Allo stesso tempo pensiamo che una vittoria del Sì ai referendum possa costituire un buon viatico per proseguire la lotta e per questo riteniamo opportuno votare al referendum e per l’abrogazione dei già descritti decreti sulla privatizzazione dell’acqua e per l’eliminazione di qualsivoglia possibilità di un ritorno all’energia nucleare. Ricordando, su quest'ultimo punto, che la strada per riaprire le centrali è stata riaperta a Berlusconi dal precedente governo Prodi, nel silenzio della sinistra governista (che all'epoca stava al governo) che ora fa la voce grossa.
Di fronte all’ipocrisia delle posizioni appena descritte, il Partito di Alternativa Comunista, ancora una volta, sceglie un’altra strada: una strada dei lavoratori per i lavoratori, una strada realmente democratica, realmente opposta agli interessi di multinazionali e partiti borghesi. La nostra strada si costruisce nella e attraverso la lotta e ha come obiettivo un’autentica gestione dell’acqua pubblica. Una gestione che noi riteniamo debba essere affidata direttamente nelle mani di lavoratori affinché non predominino gli interessi borghesi ma piuttosto gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione. Allo stesso tempo pensiamo che una vittoria del Sì ai referendum possa costituire un buon viatico per proseguire la lotta e per questo riteniamo opportuno votare al referendum e per l’abrogazione dei già descritti decreti sulla privatizzazione dell’acqua e per l’eliminazione di qualsivoglia possibilità di un ritorno all’energia nucleare. Ricordando, su quest'ultimo punto, che la strada per riaprire le centrali è stata riaperta a Berlusconi dal precedente governo Prodi, nel silenzio della sinistra governista (che all'epoca stava al governo) che ora fa la voce grossa.
E’necessario dunque partire da questa
campagna referendaria per avanzare delle parole d’ordine che superino la
sostanza del voto e per affermare una opposizione concreta e radicale, una
opposizione popolare e di piazza che veda protagoniste, realmente, le masse
popolari, contro entrambi gli schieramenti dell'alternanza borghese.