Partito di Alternativa Comunista

Landini, la Cgil e il conflitto sociale che manca

Landini, la Cgil e il conflitto sociale che manca

 

 

 

di Massimiliano Dancelli

 

Maurizio Landini è stato recentemente riconfermato a capo del maggiore sindacato italiano, la Cgil. La cosa merita un’attenzione particolare poiché la politica che viene seguita dalla direzione di Corso d’Italia ha poi effetti sulla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Quindi cerchiamo di dare uno sguardo al futuro che si prospetta con il nuovo-vecchio corso landiniano.

 

Il passo falso del congresso

Se vogliamo capire cosa si prospetta con il Landini-bis, è sufficiente ricordare la presenza del «presidente» del Consiglio Giorgia Meloni al congresso dello scorso marzo, lo stesso della riconferma del segretario. È vero che la Cgil ha sempre invitato i capi del governo al proprio congresso - e la cosa oltretutto non ci stupisce considerando la politica di collaborazione di classe che questo sindacato ha sempre tenuto - però fornire un’occasione di legittimazione al massimo rappresentante della componente più reazionaria del capitalismo nostrano è particolarmente grave. Questo passaggio, in effetti, ha consentito alla Meloni di ottenere un riconoscimento ufficiale da parte del maggiore sindacato italiano: il governo di destra ne è risultato rafforzato.
La Meloni si è prontamente presentata alla platea dei delegati senza nascondere le sue intenzioni rispetto alle sorti del proletariato italiano: nessun aiuto e nessun sostegno alla classe lavoratrice, piuttosto repressione feroce per chi tenta di mettere in dubbio l’operato del governo. Tuttavia, a parte una tenue contestazione da parte dei rappresentanti della minoranza interna sulle note di Bella ciao, nessuno dei delegati della maggioranza landiniana ha aperto bocca, palesando solo un certo imbarazzo davanti alle parole della Premier.
Al di là del danno d’immagine, derivante dal fatto che il sindacato che appare collocato più a «sinistra» (almeno questa è ancora la percezione che milioni di lavoratori hanno) inviti il capo di un partito di estrema destra che non ha mai davvero rinnegato né fatto i conti col proprio passato missino, la presenza di Giorgia Meloni è sintomatica di quello che la segreteria di Landini vuole fare: mantenere rapporti cordiali col governo, in modo da poter apparire come un interlocutore docile e affidabile. Tradotto, l’intenzione è quella di poter essere convocati al tavolo dell’esecutivo al fine di ottenere qualche insignificante briciolina per i lavoratori in cambio del mantenimento della pace sociale, ovvero esattamente quanto fatto da Landini nel precedente mandato.

 

Le manifestazioni di maggio

La prima azione messa in campo dal Landini-bis rispecchia quanto abbiamo detto fino ad ora. Nel suo intervento di chiusura del congresso, anche un po' per rimediare alla figuraccia fatta con l’invito alla Meloni, aveva annunciato la possibilità della convocazione di uno sciopero generale contro le politiche economiche del governo. Ma, mentre annunciava lo sciopero, aggiungeva che lo avrebbe fatto solo con Cisl e Uil. Un riuscito tentativo di scaricare le responsabilità della non convocazione dello sciopero sulla Cisl, visto che sapeva benissimo che la direzione filo-governativa di quest’ultima - Sbarra, segretario della Cisl, ha espresso vari apprezzamenti sull’operato del governo - non avrebbe accettato, come già non aveva sostenuto lo sciopero di dicembre.
La conferma è arrivata dal successivo incontro dei tre segretari e dalla conseguente decisione di optare per tre manifestazioni interregionali per Nord, Centro e Sud che si sono svolte a Bologna (6 maggio), Milano (13 maggio) e Napoli (20 maggio). Il tutto seguito da un’analoga manifestazione a giugno (stavolta nazionale a Roma), sempre senza sciopero, sul tema tagli alla Sanità.
Questa soluzione al ribasso esprimeva la chiara volontà, da parte delle tre direzioni confederali, di cercare di assecondare i malumori della base - soprattutto quella della Cgil che inizia a chiedere a gran voce una mobilitazione contro il carovita – senza dare troppo fastidio a governo e padroni in vista dell’apertura dei tavoli di trattativa.
Nelle parole di Landini queste manifestazioni avrebbero rappresentato solo l’inizio di un grande percorso di mobilitazioni, ma, come abbiamo visto dal documento politico uscito dal recente congresso del Ces, la Confederazione sindacale europea di cui anche la Cgil fa parte, la reale intenzione è quella di dare meno continuità possibile alla mobilitazione, convocando manifestazioni lontane nel tempo e su piattaforme vaghe e diversificate nei contenuti. Si è parlato di organizzare tra giugno e settembre manifestazioni in piazza nei vari Paesi europei, in date diverse e senza una piattaforma comune, per poi convergere in un’unica data per tutti i Paesi il prossimo autunno.
È chiaro che con questa modalità di convocazione, senza un’adeguata preparazione nei luoghi di lavoro, senza chiamare con forza i lavoratori alla lotta, c’è il rischio, oltretutto, di ottenere scarsi risultati anche in termini di mobilitazione, come è stato per i tre momenti di maggio, in cui si è portato in piazza di fatto solo l’apparato e qualche delegato, arrivando a non più di 20.000 partecipanti per ognuna delle tre città. Questo, oltre a rendere inutile la lotta, rischia di generare ancora più delusione nella classe operaia, rafforzando il legame della stessa col populismo e quindi, per assurdo, con lo stesso governo Meloni che andrebbe invece combattuto ferocemente.

 

Un tradimento a livello europeo

La Cgil, così come le altre direzioni sindacali del Ces, perché questa tattica di de-potenziamento della lotta la vediamo anche negli altri Paesi, non hanno quindi nessuna intenzione di organizzare il conflitto sociale che sarebbe necessario per contrastare il carovita, la precarietà, pretendere pensioni dignitose e sostenere attivamente sia la resistenza dei lavoratori e delle lavoratrici ucraine, sia le mobilitazioni di massa in Francia.
La classe operaia e le masse europee hanno dimostrato una chiara volontà di ribellarsi alla loro condizione e contestare i governi complici del padronato: lo abbiamo visto proprio nella poderosa lotta contro la riforma pensionistica di Macron in Francia, seguita dalla rivolta dei giovani delle banlieue, ma ci sono stati importanti e prolungati scioperi in anche Gran Bretagna e Germania.
In Francia la mobilitazione è cresciuta di settimana in settimana e si è trasformata in una aperta contestazione al governo e al presidente Macron ma, anche lì, le direzioni sindacali hanno operato per depotenziare la lotta fino a renderla inoffensiva. Appare chiaro il tradimento delle direzioni sindacali in Francia: hanno debilitato la lotta, rifiutandosi di prolungarla come sarebbe stato necessario, demoralizzando i lavoratori, sui quali poi cercheranno di scaricare la responsabilità della sconfitta.
Sebbene in un contesto per ora molto differente dal punto di vista della lotta di classe, è la stessa cosa a cui assistiamo da anni in Italia con le direzioni dei confederali, Cgil in testa, che non sostengono e non ampliano le lotte che anche nel nostro Paese ci sono state - vedi Alitalia e Gkn, solo per fare due esempi importanti – ma, al contrario, con la solita scusa che sono i lavoratori e le lavoratrici ad essere troppo passivi, si limitano ad organizzare innocue (per i padroni) manifestazioni nel fine settimana.

 

Serve un vero conflitto

La politica di Landini espressa al congresso del Ces è chiara ed è in sintonia con l’opera di pompieraggio del conflitto sociale che abbiamo potuto vedere chiaramente in Francia. Non si deve seguire l’esempio delle direzioni sindacali francesi, bensì l’esempio delle lavoratrici e dei lavoratori francesi, oltre che di quelli inglesi e tedeschi: la lotta va estesa e rafforzata organizzando scioperi continuativi e in contemporanea in tutti i Paesi, servono l’unità e la solidarietà di classe.
Quindi diciamo basta a ogni politica di tipo concertativo, al ricorrere sempre agli ammortizzatori sociali (anticamera del licenziamento) e al dialogo col governo, specie quando i rapporti di forza sono sfavorevoli. Organizzare il conflitto sociale ora! Rilanciare gli scioperi e la mobilitazione di massa, per cacciare il governo di estrema destra e creare le premesse per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori!

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