Partito di Alternativa Comunista

Referendum sull’eutanasia. Un’astratta libertà o uno dei diritti negati dai capitalisti?

Referendum sull’eutanasia. Un’astratta libertà

o uno dei diritti negati dai capitalisti?

 

 

 

di Mario Avossa (medico)

 

 

In questi giorni si riaccende il dibattito sul diritto alla conclusione dignitosa della vita. È un tema che periodicamente si ripropone alle cronache. In Parlamento la legge sul fine vita è ferma, secondo lo stesso copione del ddl Zan, arenatosi pochi giorni fa, con gli stessi schieramenti parlamentari trasversali che hanno dato prova di cinismo, ipocrisia e subordinazione alle destre e alla Chiesa cattolica.
Alcuni giuristi e un’associazione civica hanno proposto un referendum parzialmente abrogativo dell’art. 579 c.p. omicidio del consenziente, un reato speciale (rispetto a quello generico di cui all’art. 575 c.p. omicidio) inserito nell’ordinamento per punire l’eutanasia. Un retaggio d’altri tempi. Lo scopo del referendum è di depenalizzare l’eutanasia attiva nelle cornici del consenso informato e del testamento biologico. Resterebbe reato «se il fatto è commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o inganno; o contro un minore di diciotto anni».
L’eutanasia attiva è vietata sia in forma diretta, in cui il medico somministra il farmaco alla persona che ne faccia richiesta (art. 579 c.p. omicidio del consenziente), sia nella forma indiretta, in cui il sanitario prepara il farmaco che viene poi assunto in modo autonomo dalla persona (art. 580 c.p. istigazione e aiuto al suicidio). La forma passiva dell’eutanasia è penalmente lecita e si ottiene con un atto omissivo: l’interruzione delle cure ha come scopo di evitare l’accanimento terapeutico. Per non creare discriminazioni tra tipi di malati affetti da patologie gravi che non conducono di per sé alla morte per effetto dell’interruzione delle cure occorre ammettere l’eutanasia a prescindere dalla procedura attiva oppure omissiva.

 

I casi Welby e dj Fabo

I casi Welby e dj Fabo sono i più noti alle cronache nel dibattito sulle tematiche del fine vita e del suicidio assistito. Il caso Welby si concluse nel 2006. Il paziente reputava intollerabile e degradante la sopravvivenza per una grave malattia neurologica che gli impediva di respirare in modo autonomo e lo costringeva in uno stato di passiva immobilità per cui, fin dal 1997, dipendeva totalmente da un ventilatore meccanico e dall’altrui assistenza. Assecondando la volontà di Welby, l’anestesista di Cremona Mario Riccio lo indusse in sedazione profonda e disattivò il dispositivo di ventilazione.
Il caso dj Fabo è analogo. Il giovane era rimasto tetraplegico e cieco in seguito a un incidente stradale. Dopo anni di sopravvivenza in uno stato inaccettabile e umiliante, ha chiesto sostegno a un’associazione civica; condotto in Svizzera, ha schiacciato con i denti un pulsante per la sedazione profonda cui sono seguiti i farmaci per l’arresto delle funzioni vitali.

 

Definizione e classificazione di eutanasia

Dicesi eutanasia quella condotta che determini l’abbreviarsi dell’esistenza di un essere umano, procurando il decesso senza, però, causare dolore né sofferenze. In dottrina medico-legale si contemplano varie forme di eutanasia: eugenica, per il miglioramento della specie umana, di ambiguo significato; profilattica, un’improbabile metodo di arginare epidemie; economica, finalizzata a sopprimere chi comporta spese eccessive per la società, in cui la discriminazione di classe distorce lo stesso concetto di eutanasia; solidaristica, con cui il paziente concede in limine vitae i suoi organi da espiantare; terapeutica, che consiste nel precorrere l’evento mortale per evitare inutili sofferenze a chi versa in condizioni di malattia tali da rendere insopportabile la sopravvivenza. È l’eutanasia terapeutica che suscita i maggiori dubbi circa la sua ammissibilità giuridica.
Posto che chiunque ha il diritto, se capace di intendere e volere e che sia in grado di farlo, di porre termine alla propria vita, il problema medico legale sorge quando il paziente è affetto da una patologia che non gli consente di intervenire autonomamente per farlo. Deve perciò delegare terzi per attivare la procedura di fine vita e conseguire lo scopo prefisso. Da ciò l’azione di alcune associazioni di proporre azioni quali la disobbedienza civile e il referendum.

 

La difficile posizione dei medici

Il codice di deontologia medica aveva sempre proscritto le pratiche di eutanasia. Ma il problema è ampio e presente; casi di coscienza hanno indotto da sempre i medici a ricorrere, su richiesta dei pazienti, a varie forme di eutanasia; come in altri casi di diritti negati, sono spesso stati costretti alla clandestinità, tutelata dalla gratitudine della persona sofferente.
Da pochi mesi il codice di deontologia medica recepisce la sentenza 242/19 della Corte costituzionale, emessa sulla scorta del clamore mediatico dei casi di cronaca e del vuoto normativo del Parlamento; il codice deontologico attuale ammette l’intervento medico di eutanasia, valutato caso per caso e delimitato da precise condizioni. Si tratta di un passo avanti, perché il malinteso giuramento di Ippocrate (in realtà un atto di affiliazione castale, ma tant’è) prevedeva l’astensione da atti nocivi e abortivi - anche da alcuni atti chirurgici -, in quanto formulato in un contesto aristocratico in cui l’integrità del sistema clanico era fondamentale: senza questi limiti codificati, il medico dell’antichità avrebbe potuto rendersi sgradito ai suoi committenti.

 

La situazione in Italia e all’estero

In Italia il disegno di legge in Parlamento è arenato per la natura divisiva dell’argomento. Già in corso di rimaneggiamenti della bozza è stata inserita una postilla limitativa perché si va a inserire tra le caratteristiche del richiedente la necessità che «sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale». Questo è illogico perché il legislatore ha già stabilito che è possibile interrompere i trattamenti di sostegno alla vita ma, soprattutto, perché, inserendo questo requisito nella norma, si va a impedire l’accesso all’aiuto al suicidio alla maggior parte delle persone che lo richiederebbero. Inoltre, il rifiuto di trattamenti sanitari inserito nella bozza è ridondante perché la materia è già stata definita dalla legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento, le Dat.
In Parlamento i partiti politici della borghesia sono trasversalmente divisi fra favorevoli e contrari e la discussione della bozza è arenata da molto tempo. La raccolta firme ha recentemente superato 1.200.000 firme e questo ha agitato i sonni dei parlamentari borghesi, gli stessi che avevano ignorato la richiesta della Corte Costituzionale del 2018 fatta alle Camere perché adottasse una legge entro un anno.
In Europa, l’Olanda per prima ha legalizzato, nel 2002, l’eutanasia diretta. È consentito ai malati «di porre fine alla propria esistenza con dignità, dopo aver ricevuto ogni tipo disponibile di cure palliative».
Nei Paesi Bassi anche i maggiori di 12 anni possono fruire dell’eutanasia, a condizione che un medico abbia certificato l’irreversibilità della condizione di sofferenza insopportabile del paziente. La certificazione del medico è sottoposta alla verifica di una commissione. Il Belgio, dal 13 febbraio del 2014, è diventato il primo stato al mondo a legalizzare l’eutanasia senza alcun limite d’età. In Svizzera è previsto il suicidio assistito. Viene praticato al di fuori delle istituzioni mediche statali da alcune associazioni, per esempio la Dignitas, che accetta richieste per malati terminali e affetti da gravi sofferenze, indipendentemente dalla nazionalità del richiedente.

 

Il ruolo della Chiesa e della borghesia

Profondamente ostile l’apparato ecclesiastico cattolico, che sostiene in modo esplicito la contrarietà al diritto al fine vita dignitoso e all’autodeterminazione, ricalcando l’atteggiamento della suora di Calcutta che gioiva e lodava le sofferenze dei poveracci che raggruppava nei suoi lazzaretti. La grettezza della posizione clericale proviene non solo dall’oscurantismo ideologico a copertura degli interessi della borghesia più avanti descritti, ma anche da interessi materiali, perché le istituzioni ecclesiastiche mediche hanno in dotazione dispositivi, apparati, prodotti e farmaci di alto costo e di buon livello tecnologico da impiegare nelle lungodegenze.
La borghesia ha cessato da molto tempo di essere una classe progressiva e rivoluzionaria, per la sua evoluzione storica. Per quanto il suo dominio sia instabile e dappertutto lacerata da divisioni interne insanabili, esso assume coerenza di fronte al conflitto di classe che la contrappone alla classe operaia, al proletariato e alle altre classi oppresse. Questo dominio include il monopolio della violenza, procedura che si arroga con i suoi corpi armati legali e illegali, vietandola alle classi oppresse; e quindi il diritto di disporre della vita e della morte del proletariato. La sua contrarietà ai diritti del fine vita discende da questo monopolio. Per questo motivo i capitalisti attivano le istituzioni ecclesiastiche e i suoi ideologi laici per contrapporsi a qualunque limitazione del suo monopolio della violenza, della vita e della morte universali.
Tuttavia, le istanze liberal-moderate di settori della borghesia esercitano pressioni politiche che costringono i legislatori di vari Stati capitalisti a concedere qualcosa nell’ambito dei diritti del fine vita; ma di malavoglia, perché questi diritti non devono essere liberamente disponibili per le classi subalterne.

 

L’eutanasia si integra nella libertà o nei diritti?

La morte è l’esito naturale e inevitabile di ogni esistenza biologica: ne rappresenta di fatto la definizione. Questo evento è legato alla legge del continuo divenire e mutare della realtà; in fondo, si tratta di una metamorfosi (il monumentale trattato di Ovidio testimonia che il tema della mutevolezza delle cose era già ben presente nell’elaborazione filosofica e letteraria classica); e solo una delle innumerevoli metamorfosi che caratterizzano l’universo conosciuto.
Né possiamo ritenere la morte una livella, come preteso da qualche cantore della borghesia: si tratta di un concetto reazionario, perché ignora le differenze nella qualità della vita fra i ceti al potere e quelli sottomessi e colloca in un immaginario pareggio post mortem le impari biografie. Una mistificazione da respingere.
Occorre svincolarsi dalla vulgata corrente che la questione del buon vivere e del buon morire («Unica è la meditazione del ben vivere e del ben morire» - Epicuro) sia contenuta semplicemente nel quadro delle libertà individuali, come protestato dai partiti liberal-moderati. Entra piuttosto nel quadro dei diritti collettivi. Il proletariato rivendica il diritto al lavoro stabile e sicuro, il diritto alla salute, alla casa, all’istruzione e ai trasporti, il diritto a liberarsi dai gioghi del maschilismo e del razzismo. I diritti rivendicati dalle donne contengono in sé il diritto a una nascita dignitosa e, specularmente, questo genera il diritto a una morte altrettanto dignitosa. Eventi circoscritti nei confini del diritto alla salute. Questione, pertanto, di classe e di massa.

 

I Parlamenti e le leggi dei capitalisti

Per queste ragioni, diamo il nostro sostegno al referendum per depenalizzare l’eutanasia. Al contempo, così come non riponiamo alcuna fiducia nei Parlamenti borghesi né nelle loro leggi, egualmente non riteniamo che un referendum possa, da solo, convincere i capitalisti a elargire concessioni per le quali sono così riluttanti. L’abbiamo visto con la legge sull’ivg 194/78, promulgata ma immediatamente resa inefficace per un codicillo interno, un sabotaggio denominato obiezione di coscienza. Ne abbiamo avuto ulteriore conferma quando, pochi anni fa, un referendum contro la privatizzazione della captazione e della distribuzione dell’acqua vinse a larghissima maggioranza. Come tutti sanno, non se n’è fatto nulla e in Italia l’approvvigionamento idrico è stato privatizzato, con aumento delle tariffe e degli sprechi. Anche per i diritti del fine vita la borghesia si comporterà come ha sempre fatto. Chi potrà, si pagherà il viaggio in Svizzera.
Nessun referendum e nessuna legge borghese potrà realmente restituire al proletariato il diritto a iniziare, condurre e concludere un’esistenza dignitosa. Questo diritto di massa va rivendicato ogni giorno nelle lotte operaie, nelle strade, nelle piazze, nei luoghi di lavoro e nelle scuole.
Non riporremo alcuna fiducia nella giurisprudenza borghese, quantunque edulcorata, sui temi del fine vita. E tuttavia ci battiamo anche per i diritti democratici, che fanno parte del nostro programma transitorio, nella consapevolezza che solo in una società socialista potrà essere realmente esercitato il diritto a nascere, vivere e morire in modo dignitoso, nella completezza di vivere una vita degna di essere vissuta e di concluderla allo stesso modo. «La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza, per goderla in tutto il suo splendore». (Leon Trotsky)

 

Fonti

https://www.diritto.it/leutanasia-e-il-suicidio-assistito-esiste-un-diritto-alla-morte-dignitosa/

https://www.sicp.it/informazione/news/2020/02/la-fnomceo-modifica-lart-17-del-codice-di-deontologia-medica/

https://www.associazionelucacoscioni.it/cosa-facciamo/fine-vita-e-eutanasia

https://referendum.eutanasialegale.it/

https://www.pphc.it/eutanasia-legale/

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