LA STRAGE QUOTIDIANA DEGLI
OPERAI IN FABBRICA
La responsabilità della sinistra di
governo, la necessità di un'alternativa dei lavoratori
di Antonino
Marceca
In questo inizio 2008 due fatti evidenziano
il pesante clima sociale e politico che grava sulla classe operaia del Paese: i
licenziamenti politici negli stabilimenti Fiat del meridione e il documento
"riservato" della ThyssenKrupp. Questi fatti proprio perché incisi nel mezzo
della vertenza per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, che i padroni
forti del sostegno del governo vogliono piegare a loro totale beneficio fino a
presentare il 14 gennaio al tavolo un documento “finale”, giudicato
“irricevibile” persino dalla parte più aziendalista della burocrazia sindacale,
acquisiscono un significato politico generale.
La Fiat di Marchionne (indicato come "modello" da Bertinotti) e Montezemolo ha
creato un clima poliziesco e intimidatorio negli stabilimenti di Termoli, Melfi
e Pomigliano d’Arco sia con l’impiego di un numero imponente di vigilanti sia
attraverso una serie di licenziamenti mirati. Nella seconda settimana di
gennaio, a seguito della legittima risposta operaia ha inviato una decina di
lettere disciplinari finalizzate al licenziamento di lavoratori e delegati dello
stabilimento di Pomigliano. Un fatto che rende evidente la volontà della
direzione Fiat di mettere in mora nelle fabbriche i diritti, le tutele e la
stessa libertà sindacale: tutto questo proprio nel corso di una dura vertenza
per il rinnovo del contratto nazionale e nel momento in cui si preannunciano
migliaia di licenziamenti.
Il documento della ThyssenKrupp, sequestrato a Terni dalla magistratura, è stato elaborato dopo la strage della notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 che è costata la vita a sette operai. Da quanto risulta dall’articolo del Corriere della Sera del 13 gennaio il documento della direzione aziendale mette in relazione la risposta operaia, giudicata eccessiva e lesiva dell’immagine dell’azienda, con la presenza di “una lunga tradizione sindacale di stampo comunista”, scarica la colpa del grave incidente sulla distrazione operaia e non esclude al momento opportuno di colpire sul piano disciplinare, valutate le rassegne stampa cartacee e televisive, quegli operai sopravvissuti al rogo e i compagni delle vittime che hanno fatto dichiarazioni sulle gravi condizioni di lavoro nel gruppo industriale. Un documento particolarmente significativo del livello raggiunto dall’arroganza padronale, l’azienda infatti non solo nega ogni responsabilità sull’accaduto ma esercita un’azione mafiosa di intimidazione nei confronti dei lavoratori che dovranno testimoniare al processo. Nel contempo mira a reprimere i lavoratori che nel gruppo industriale vogliono rivendicare il diritto alla salvaguardia della propria salute e integrità fisica.
Il documento della ThyssenKrupp, sequestrato a Terni dalla magistratura, è stato elaborato dopo la strage della notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 che è costata la vita a sette operai. Da quanto risulta dall’articolo del Corriere della Sera del 13 gennaio il documento della direzione aziendale mette in relazione la risposta operaia, giudicata eccessiva e lesiva dell’immagine dell’azienda, con la presenza di “una lunga tradizione sindacale di stampo comunista”, scarica la colpa del grave incidente sulla distrazione operaia e non esclude al momento opportuno di colpire sul piano disciplinare, valutate le rassegne stampa cartacee e televisive, quegli operai sopravvissuti al rogo e i compagni delle vittime che hanno fatto dichiarazioni sulle gravi condizioni di lavoro nel gruppo industriale. Un documento particolarmente significativo del livello raggiunto dall’arroganza padronale, l’azienda infatti non solo nega ogni responsabilità sull’accaduto ma esercita un’azione mafiosa di intimidazione nei confronti dei lavoratori che dovranno testimoniare al processo. Nel contempo mira a reprimere i lavoratori che nel gruppo industriale vogliono rivendicare il diritto alla salvaguardia della propria salute e integrità fisica.
L’incidente alla
ThyssenKrupp
La morte dei sette operai nel rogo dello
stabilimento della ThyssenKrupp di Torino è purtroppo solo uno degli episodi del
bollettino quotidiano degli incidenti mortali nei luoghi di lavoro. Ogni giorno,
spesso nel silenzio dei mezzi di comunicazione padronale, muoiono tre, quattro
lavoratori a causa di un incidente nel posto di lavoro: oltre 1300 l’anno, a
fronte di circa un milione di infortuni denunciati, migliaia dei quali con esiti
invalidanti. Ma molti infortuni e decessi non vengono neppure denunciati. Agli
infortuni, devono aggiungersi le malattie professionali: tumori, malattie
cronico-degenerative e disturbi psichici. Malattie connesse alla presenza di
sostanze chimiche e polveri sottili nell’ambiente di lavoro; di fattori fisici
(vibrazioni, radiazioni, rumore, temperatura); alla insufficiente superficie e
cubatura dei locali; di carenti rapporti aeranti e illuminanti, naturali e
diretti, degli ambienti di lavoro; allo stress legato all’organizzazione del
lavoro; ai ritmi crescenti.
La denuncia operaia ha evidenziato nello stabilimento di Torino omissioni nelle misure e nella gestione della sicurezza (i tecnici dell’Auls, dopo l’incidente, riscontravano almeno 115 violazioni), la presenza di turnazione, orari e organizzazione del lavoro insopportabili. Una situazione di sfruttamento che i lavoratori erano costretti ad accettare per mantenere il posto di lavoro, facendo anche gli straordinari per integrare un salario insufficiente per vivere dignitosamente. Non solo: come ha dichiarato Pierre Carniti, ex segretario generale Cisl, lo stesso magistrato che segue le indagini ha dimostrato come funzionari preposti ai controlli igienico-sanitari negli ambienti di lavoro erano al tempo stesso consulenti dell’impresa, quindi in evidente regime di conflitto di interesse.
Quanto successo alla ThyssenKrupp certamente colpisce per il numero, per la giovane età degli operai colpiti, per il modo barbaro della morte, ma bisogna prendere coscienza del fatto che ogni giorno, tutti i giorni, si va al lavoro rischiando la vita in un tessuto industriale fatto di piccole e medie imprese, in cui il 54% dei lavoratori opera in aziende con meno di 15 dipendenti, quindi non difesi nemmeno dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, dove mancano diritti e tutele, dove il sindacato, qualsiasi sindacato, è completamente assente.
La denuncia operaia ha evidenziato nello stabilimento di Torino omissioni nelle misure e nella gestione della sicurezza (i tecnici dell’Auls, dopo l’incidente, riscontravano almeno 115 violazioni), la presenza di turnazione, orari e organizzazione del lavoro insopportabili. Una situazione di sfruttamento che i lavoratori erano costretti ad accettare per mantenere il posto di lavoro, facendo anche gli straordinari per integrare un salario insufficiente per vivere dignitosamente. Non solo: come ha dichiarato Pierre Carniti, ex segretario generale Cisl, lo stesso magistrato che segue le indagini ha dimostrato come funzionari preposti ai controlli igienico-sanitari negli ambienti di lavoro erano al tempo stesso consulenti dell’impresa, quindi in evidente regime di conflitto di interesse.
Quanto successo alla ThyssenKrupp certamente colpisce per il numero, per la giovane età degli operai colpiti, per il modo barbaro della morte, ma bisogna prendere coscienza del fatto che ogni giorno, tutti i giorni, si va al lavoro rischiando la vita in un tessuto industriale fatto di piccole e medie imprese, in cui il 54% dei lavoratori opera in aziende con meno di 15 dipendenti, quindi non difesi nemmeno dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, dove mancano diritti e tutele, dove il sindacato, qualsiasi sindacato, è completamente assente.
Lo spot del
governo
Nelle stesse settimane in cui gli effetti
sulle carni operaie del rogo dell’acciaieria di Torino accrescevano il numero
delle vittime, il governo di centrosinistra convertiva in legge il Protocollo
Damiano sulle pensioni e il mercato del lavoro.
Il combinarsi del crollo del potere
d’acquisto dei salari per effetto degli accordi del 1992-1993, che abolirono la
scala mobile e vararono la concertazione, la detassazione degli straordinari, la
precarizzazione del lavoro introdotta con le leggi Treu e Biagi e riordinata con
il Protocollo Damiano, le leggi contro gli immigrati, l’estendersi della
privatizzazione -dai reparti ospedalieri ai servizi di prevenzione delle Aziende
USL- attraverso il meccanismo delle consulenze, dei corsi e quant’altro sono
tutti fattori che moltiplicano il rischio, già insito nel modo capitalistico di
produzione, degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.
Il recente studio pubblicato dell’Eurispes, “Infortuni sul lavoro: peggio della guerra”, mette in evidenza come tra gli immigrati si verifica un’altissima omissione delle denuncie di infortuni sul lavoro; che immigrati e nuovi assunti, atipici, lavoratori a termine, e "soci-lavoratori" sono i più esposti a rischio di infortunio. Non a caso circa l’85% degli incidenti mortali “avviene nell’ambito dei sub-appalti” dove regna la precarietà, mentre le età più colpite sono quelle giovanili o vicine all’età della pensione.
Lo studio proprio nelle prime righe segnala come le cifre “mettono in risalto l’inefficacia dei provvedimenti legislativi”, ai quali si è aggiunta il 3 agosto 2007 la legge n° 123, che assieme ai decreti attuativi dovrebbe prevedere un riassetto della normativa in materia. La legge affida al Presidente della provincia il coordinamento delle azioni istituzionali di vigilanza e ispezione con la costituzione di Organismi Paritetici Provinciali.
In Finanziaria 2008 il governo Prodi ha stanziato 50 milioni di euro per il potenziamento delle attività di prevenzione e contrasto degli incidenti e delle malattie professionali sui luoghi di lavoro, larga parte di questi euro verranno spesi per uno spot pubblicitario “Usare la testa, si deve. Evitare la croce si può”, gli autori dello spot spiegano che il senso del messaggio che verrà trasmesso da Tv, stampa, radio e internet è che “la vita nel posto di lavoro non si può mettere in gioco per qualche distrazione”, come dire che la causa degli infortuni è dovuta al fatto che gli operai sono sbadati! Non c’è dubbio che la ThyssenKrupp terrà conto dello spot governativo al processo, magari per chiedere una condanna degli operai sopravvissuti al rogo e farsi risarcire.
Il recente studio pubblicato dell’Eurispes, “Infortuni sul lavoro: peggio della guerra”, mette in evidenza come tra gli immigrati si verifica un’altissima omissione delle denuncie di infortuni sul lavoro; che immigrati e nuovi assunti, atipici, lavoratori a termine, e "soci-lavoratori" sono i più esposti a rischio di infortunio. Non a caso circa l’85% degli incidenti mortali “avviene nell’ambito dei sub-appalti” dove regna la precarietà, mentre le età più colpite sono quelle giovanili o vicine all’età della pensione.
Lo studio proprio nelle prime righe segnala come le cifre “mettono in risalto l’inefficacia dei provvedimenti legislativi”, ai quali si è aggiunta il 3 agosto 2007 la legge n° 123, che assieme ai decreti attuativi dovrebbe prevedere un riassetto della normativa in materia. La legge affida al Presidente della provincia il coordinamento delle azioni istituzionali di vigilanza e ispezione con la costituzione di Organismi Paritetici Provinciali.
In Finanziaria 2008 il governo Prodi ha stanziato 50 milioni di euro per il potenziamento delle attività di prevenzione e contrasto degli incidenti e delle malattie professionali sui luoghi di lavoro, larga parte di questi euro verranno spesi per uno spot pubblicitario “Usare la testa, si deve. Evitare la croce si può”, gli autori dello spot spiegano che il senso del messaggio che verrà trasmesso da Tv, stampa, radio e internet è che “la vita nel posto di lavoro non si può mettere in gioco per qualche distrazione”, come dire che la causa degli infortuni è dovuta al fatto che gli operai sono sbadati! Non c’è dubbio che la ThyssenKrupp terrà conto dello spot governativo al processo, magari per chiedere una condanna degli operai sopravvissuti al rogo e farsi risarcire.
La necessità del controllo operaio e
di un'alternativa di classe
Ma quando a Bergamo, nella fonderia Pilenga,
un operaio viene sospeso per tre giorni perché segnalava al capo reparto i
rischi di infortunio presenti nell’ambiente di lavoro: “rischio incendio in
presenza di fumatori”, “rischio di caduta in caso di urto di pancali
sovrapposti”, “olio chimico che fuoriesce dalle macchine e va sui pavimenti”; o
quando l’infermiera professionale di Monza viene licenziata, perché "è venuto
meno il rapporto fiduciario", a seguito della denuncia alla stampa del rischio
di diffusione di malattie infettive per la mancata sterilizzazione delle
“attrezzature e supporti medici”; allora è chiaro che è urgente e necessario il
controllo operaio e delle masse popolari. Le cause degli infortuni e delle
malattie professionali non sono dovute alle “distrazioni” operaie, come vorrebbe
farci credere lo spot governativo e padronale, ma sono l’effetto di un sistema
capitalistico di sfruttamento bestiale: le imprese che non vogliono investire
nelle strutture e nei macchinari per realizzare un ambiente di lavoro salubre e
privo di fattori di rischio, di padroni che non intendono rinnovare i contratti
nazionali e aumentare i salari, anzi chiedono agli operai di lavorare di più, di
aumentare i ritmi, di legare il salario alla produttività; di un governo
padronale che incentiva gli straordinari e la privatizzazione dei servizi
sanitari pubblici; di norme precarizzanti che ricattano giovani e immigrati; di
una permanenza al lavoro eccessiva in termini di anni e ore di lavoro.
Non saranno gli Organismi Paritetici
Provinciali, previsti dalla nuova normativa, ma la mobilitazione e la lotta dei
lavoratori, la costruzione di una vertenza generale sulla base di una
piattaforma sindacale unificante e adeguata alla fase, contro il governo e il
padronato, a porre un freno alla barbarie capitalistica. Primo passo nella lotta
per abbattere questo sistema di sfruttamento e di guerra, nella prospettiva di
un'alternativa vera, di classe, cioè di un governo dei lavoratori per i
lavoratori. E' per favorire questa lotta che è nato un anno fa il Partito di
Alternativa Comunista, è in questa lotta che, quotidianamente, sono impegnati in
ogni mobilitazione contro il governo e contro il padronato i nostri
militanti.