Partito di Alternativa Comunista

La Comune di Parigi (1871): premessa della Comune di Pietrogrado (1917)

La Comune di Parigi (1871):

premessa della Comune di Pietrogrado (1917)

 

di Francesco Ricci

 

E’ difficile trovare negli anni precedenti la Comune massacri simili a quello che la borghesia attuò con ferocia dopo la caduta del primo governo operaio della storia. Bisogna andare indietro fino ai seimila schiavi dell’esercito di Spartaco fatti crocifiggere da Crasso sulla via Appia perché servissero d’esempio a chi avesse voluto ribellarsi contro Roma.
Non si saprà mai quante sono state precisamente le vittime. Sappiamo però che su una popolazione di circa due milioni di abitanti, alla fine ne mancavano centomila. Si fecero fosse comuni, fucilazioni a caso: per rendere più veloce il lavoro furono usate le mitragliatrici. Finito il bagno di sangue, la repressione continuò con le ricerche, i processi, le deportazioni e con anni di calunnie. Tutta la stampa borghese internazionale fu impiegata per dipingere gli operai parigini come dei vandali.
Perché tanto accanimento? La risposta la troviamo in una delle importanti lettere che Karl Marx scrisse (questa è dell’aprile 1871, quando la Comune era iniziata da poco) al dottor Kugelmann: “Qualunque sia l’esito immediato, un punto di partenza di importanza storica universale è conquistato” (1). La borghesia voleva cancellare questo “punto di importanza storica”.

 

I bolscevichi studiarono e impararono molto dalla Comune

 

I bolscevichi che si preparavano a una nuova rivoluzione studiarono a fondo il 1871.
Lo studio della Comune fu al centro di tutta la preparazione teorica di Lenin all’Ottobre. Il “quaderno azzurro” di citazioni di Marx ed Engels sullo Stato (che verrà pubblicato dopo la rivoluzione col titolo di Stato e Rivoluzione), che sarà alla base delle Lettere da lontano con cui Lenin cerca di indirizzare dalla Svizzera il gruppo dirigente bolscevico, le Tesi d’aprile e tutta la battaglia per “riarmare” il partito nei frenetici mesi del ’17: tutto ciò ha al centro l’esempio della Comune.
Come scrisse Trotsky (in Le lezioni dell’Ottobre) senza lo studio della Comune “non avremmo mai guidato la Rivoluzione d’ottobre”. Trotsky scriverà della Comune durante tutto il corso della sua vita: dal fondamentale Le lezioni della Comune, prefazione del 1921 a un libro di Talès (2), in cui sviluppa una comparazione tra la Comune di Parigi, sconfitta, e quella di Pietrogrado, vittoriosa; a interi capitoli di Terrorismo e comunismo (scritto durante la guerra civile per difendere la dittatura del proletariato dalle critiche “democratiche” di Kautsky), fino allo splendido La loro morale e la nostra (in cui cita la Comune per sostenere la necessità del “terrore rosso” nella guerra civile russa).

 

Attraverso quale scuola passò il proletariato francese

 

Per studiare la Comune, Lenin e Trotsky dovettero eliminare l’incrostazione di falsificazioni che la borghesia, i riformisti e gli anarchici avevano depositato su quella vicenda.
Dovettero contrastare le letture che pretendevano di vedere nella Comune un fatto “spontaneo” e casuale. Un mito alimentato dalla storiografia borghese per dimostrare che si trattava di un evento irripetibile; ma rafforzato anche dalla lettura anarchica che pretendeva così di trovare la conferma delle sue teorizzazioni sulla inutilità di un partito d’avanguardia.
In realtà non vi fu nulla di casuale né tantomeno di “spontaneo” nella Comune.
Gli operai parigini arrivavano al 1871 sulla base di un secolo di rivoluzioni. In una rapida corsa tra le date storiche basta qui ricordare alcuni eventi. La Grande rivoluzione francese della fine del Settecento, che espresse col giacobinismo il massimo che poteva produrre la società borghese nel tentativo di annullare le contraddizioni di classe ma in cui pure nacque un primo programma proletario, espresso dagli “arrabbiati” di Roux e Leclerc, maestri di Babeuf: un movimento che ‑ come scrisse Marx ‑ era però ancora privo delle basi sociali per crescere. La rivoluzione del luglio 1830 in cui il proletariato ha una parte attiva ma è subalterno alla borghesia che aiuta a liberarsi di Carlo X per insediare una monarchia costituzionale (Luigi Filippo d’Orleans). E ancora, la rivoluzione del febbraio 1848, in cui il proletariato aiuta la borghesia a liberarsi di Luigi d’Orleans ma cade nella trappola di partecipare ‑ per la prima volta nella storia ‑ a un governo con la borghesia, con un ministro (Louis Blanc) che dovrebbe rappresentare gli operai ma che in realtà ‑ come accade oggi ogni volta che si costituisce un governo “comune” delle due classi mortalmente nemiche ‑ finisce con il disarmare gli operai. Operai che, finalmente, nel giugno 1848 rompono la subalternità alla borghesia e si scagliano contro di essa, con i fucili (pagando la loro impreparazione con diecimila morti). Dalle barricate del 1848 emerge la figura di Luigi Bonaparte che, col nome di Napoleone III, governerà la Francia fino alla vigilia della Comune (3).
Gli operai parigini non arrivano “casualmente” alla rivoluzione del 1871. Appresero a loro spese la necessità dell’indipendenza di classe dalla borghesia. Purtroppo, però, il proletariato non impara da solo: non completamente. Ha bisogno che le sue esperienze di lotta siano elaborate da quella memoria permanente che è il partito rivoluzionario. Privi di questo partito, gli operai parigini furono nuovamente ingannati dalla borghesia alla fine della guerra franco-prussiana.

 

La guerra franco-prussiana: un altro tradimento della borghesia

 

Non c’è qui lo spazio per approfondire il tema (4) della guerra franco-prussiana. Basti dire che le cause reali della guerra furono il tentativo di Napoleone III di uscire dalla crisi del suo regime con quella che sperava sarebbe stata una rapida vittoria; e la convinzione di Bismarck che la vittoria avrebbe facilitato l’unificazione della Germania (che era divisa in tanti piccoli Stati) attorno alla Prussia. L’Associazione Internazionale dei Lavoratori (d’ora in poi Ail) si espresse contro la guerra e a favore della fraternizzazione del proletariato dei due Paesi. Al contempo non fu “equidistante” di fronte alla guerra ormai scoppiata: era convinzione di Marx ed Engels, infatti, che una vittoria della Prussia avrebbe facilitato l’unificazione della classe operaia tedesca in una Germania unita e avrebbe aperto la strada, in Francia, alla Repubblica, liberando la classe operaia dell’oppressivo regime di Napoleone III (5).
Le loro previsioni si avverarono: in poche settimane la Francia fu sconfitta e una rivolta popolare proclamò la Repubblica. Ma, ancora una volta, gli operai si fidarono della borghesia, affidandole il governo. Il primo atto del nuovo governo repubblicano diretto da Thiers fu quello di accordarsi con la borghesia tedesca, scaricando i costi della guerra sulla classe operaia.

 

Un ostacolo per la borghesia: Parigi operaia armata

 

Ma il complotto delle borghesie francese e tedesca trovò sulla strada un ostacolo gigantesco: gli operai parigini armati. Esisteva infatti in Francia una milizia, la Guardia Nazionale. Cioè lavoratori attivi che, inquadrati in battaglioni, periodicamente si dedicavano alle esercitazioni militari, pagati dallo Stato. La Guardia Nazionale era un vecchio istituto della rivoluzione del 1789 ed era servita nel giugno 1848 alla borghesia per reprimere gli operai. Ma nel 1871 era ormai composta quasi interamente da lavoratori e non più da borghesi. E dalla costituzione della repubblica si era riorganizzata in una Federazione repubblicana, con l’elezione degli ufficiali da parte della truppa (6).
La classe operaia si era rafforzata molto dagli anni Sessanta. Era cresciuta numericamente ed era concentrata in alcune fabbriche: ai cantieri navali di Parigi lavoravano 70 mila operai, la fabbrica metallurgica Cail impiegava tremila operai, altre grandi concentrazioni operaie erano alla Govin (produzione di locomotive), alla fabbrica di armi del Louvre, ecc.
C’erano dunque trecentomila operai, addestrati e armati e non più disponibili a subire la volontà della borghesia. Il tentativo di Thiers di disarmare la Guardia Nazionale, sottraendole i cannoni e le mitragliatrici, porta alla insurrezione del 18 marzo: con una fraternizzazione tra la popolazione del quartiere di Montmartre (un ruolo importante, come nel febbraio 1917, lo ebbero le donne, e tra loro la maestra Louise Michel) e i soldati. Al governo della borghesia non restava che fuggire da Parigi e rifugiarsi nella vicina Versailles, mentre il Comitato Centrale, direzione della Guardia Nazionale, completava la conquista del potere con la presa indolore dell’Hotel de Ville (come nel 1917 la conquista del Palazzo d’Inverno fu solo l’ultimo atto della rivoluzione).

 

La classe operaia al governo

 

Per la prima volta nella storia, la classe operaia costituiva “un governo della classe operaia per la classe operaia” (Marx). E scopriva, per dirla con le parole che Brecht fa pronunciare a Galileo Galilei, che “non esiste differenza tra il cielo e la terra, scrivendo nel suo diario: abolito il cielo”. Abolita la necessità della borghesia, dei direttori di fabbrica: i lavoratori possono dirigere le fabbriche e lo Stato facendo a meno di questi parassiti. Governare non è più una cosa riservata al “cielo” borghese.
Il Comitato Centrale ritiene però (sbagliando) (7) di dover cedere il potere a una Comune eletta e per questo indice nuove elezioni che formano una assemblea di circa novanta membri, al cui interno vengono costituite delle commissioni (ricalcate esattamente sulla base dei ministeri del governo nazionale: Finanze, Esteri, Istruzione, Lavoro, ecc., a dimostrazione che la Comune aspirava a governare su tutta la Francia).
Questo governo che univa il potere legislativo, esecutivo e giudiziario, superando la borghese “tripartizione” dei poteri, durò solo poche settimane. Eppure la sua attività fu così intensa che servirebbero tre numeri di questa rivista solo per elencarla. Lo scioglimento della polizia e la sostituzione dell’esercito permanente con la milizia operaia (Guardia Nazionale), con cui fu distrutta la macchina statale borghese (il più grande insegnamento della Comune secondo Marx, posto anche da Lenin a fondamento di tutto l’operato dei bolscevichi: i rivoluzionari non possono limitarsi a “riformare” la macchina statale borghese ma devono spezzarla, distruggerla e sostituirla con la dittatura del proletariato); l’assistenza medica gratuita (con aborto libero e gratuito, cioè qualcosa che non è ancora acquisito oggi nelle repubbliche borghesi); la pensione a 55 anni; la riforma della scuola verso un insegnamento “politecnico”, che univa per la prima volta ciò che la borghesia vuole insegnare separatamente ai figli dei borghesi e a quelli degli operai, le materie “umanistiche” e quelle “scientifiche” e “tecniche”; la separazione dello Stato dalla Chiesa, con la soppressione dei contributi al clero e l’espulsione della religione dalle scuole; un inizio di requisizione delle fabbriche e la riorganizzazione del lavoro operaio sotto il controllo dei lavoratori, riuniti in assemblee per decidere cosa e come produrre; la requisizione delle case sfitte e la loro assegnazione ai senza tetto; ecc. ecc.
Molte di queste misure, visto lo scarso tempo che gli operai parigini ebbero a disposizione, rimasero solo nelle intenzioni. Ma indicano la volontà di rovesciare completamente la società borghese in tutte le sue forme, fondando una società nuova, creata dagli operai.
Significativo il fatto che nelle dieci settimane della Comune, furono almeno cento i giornali quotidiani. Le biblioteche rimanevano aperte di notte perché gli operai volevano appropriarsi della cultura da cui erano stati a lungo tenuti lontani. Talmente tanti erano i dibattiti che non bastavano le sale per ospitarli (per questo si buttarono fuori i preti dalle chiese, utilizzandole per attività più utili della preghiera). Questa esperienza grandiosa fu interrotta dall’ingresso delle truppe del governo borghese (ricostituite con l’aiuto di Bismarck) che il 28 maggio del 1871 rovesciarono l’ultima barricata eretta dagli operai.
Una simile vivacità culturale la ritroveremo nella storia soltanto una cinquantina di anni dopo, con la nuova era aperta dal governo operaio instaurato dalla rivoluzione d’Ottobre.

 

Lezioni ed errori della Comune nell’analisi di Marx ed Engels

 

Marx ed Engels, che pure ritennero talmente importante quella breve esperienza francese da dover inserire la sua lezione principale (la dittatura del proletariato nella “forma finalmente trovata”) in tutti i testi, non risparmiarono le critiche, individuando errori e limiti, fornendo una lezione di strategia e tattica che sarà messa a frutto dai bolscevichi.
Criticarono gli errori tattici: non aver attaccato il governo di Versailles, essersi limitati nell’impiego del “terrore rosso” contro i reazionari borghesi (gli operai parigini furono, secondo Engels, “eccessivamente bonari”). Criticarono gli errori programmatici: non aver completato l’esproprio della borghesia, fermandosi davanti alla porta della Banca Nazionale.
Tuttavia, nella Comune Marx ed Engels videro un grande insegnamento: la necessità che il proletariato agisca nell’indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi, come condizione per guadagnare, nella lotta di opposizione e poi con l’insurrezione, il proprio governo. La rimozione di questa lezione storica è alla base di tutte le “teorie” del riformismo (riprese dallo stalinismo con la partecipazione ai governi di “fronte popolare” a partire dal 1935). Proprio sulla base di questa lezione Lenin “riarmerà” il partito bolscevico con le Tesi di aprile, sostenendo la necessità di non fornire nessun appoggio al governo borghese (di “sinistra”) di Kerensky come premessa per conquistare la maggioranza dei lavoratori politicamente attivi al compito di rovesciare quel governo per costruirne uno operaio.

 

Fu realmente la prima dittatura del proletariato? La revisione di Trotsky

 

Nella prefazione del 1891 a La guerra civile in Francia, Engels scrive: "Guardate la Comune di Parigi. Questa fu la dittatura del proletariato".
In realtà Engels enfatizzava polemicamente un concetto per attaccare le tendenze revisioniste che già si stavano manifestando nella socialdemocrazia tedesca. Ma Marx (anche ne La guerra civile in Francia) parlava più precisamente di una “tendenza” verso la dittatura del proletariato.
E’ stato Trotsky a sviluppare l’analisi di Marx, facendo quella che Nahuel Moreno ha giustamente indicato come una “revisione” dell’analisi di Marx e di Lenin ‑ ovviamente una revisione nel senso marxista, e cioè uno sviluppo delle concezioni del marxismo sulle sue basi. (8)
Trotsky in alcuni importanti scritti degli anni Trenta, che Moreno cita (9), specifica dove si trovava questa “tendenza” o embrione di dittatura del proletariato: non nel Consiglio della Comune (i novanta eletti a “suffragio universale” nelle elezioni indette dal Comitato Centrale) ma nel Comitato Centrale della Guardia Nazionale. Perché? Perché era in quella struttura comprendente soltanto chi si organizzava per la lotta ‑ e non in un’assemblea uscita dalle elezioni, per quanto elezioni del tutto particolari ‑ che si poteva vedere il primo “soviet” della storia. Moreno cita a conferma di ciò questo importante brano di Trotsky: "Quando noi diciamo Viva la Comune, noi ci riferiamo all'eroica insurrezione, non all'istituzione della Comune, cioè non alla municipalità democratica. La sua elezione, peraltro, fu una sciocchezza (vedi Marx) e questa sciocchezza fu comunque resa possibile solo in seguito alla conquista del potere da parte del Comitato Centrale della Guardia Nazionale, che era il 'comitato d'azione' o il soviet in quella situazione".
Ma perché la dittatura era solo potenziale? Perché il “soviet” era a sua volta solo embrionale. Ciò che mancava nel “soviet” perché esso potesse trasformarsi nel pilastro di una reale dittatura del proletariato era un partito marxista rivoluzionario. Scrive Trotsky (già in Gli insegnamenti della Comune di Parigi, che è del 1921): “Il Comitato Centrale della Guardia Nazionale aveva bisogno di essere diretto”.
Ecco la principale differenza tra il 1871 e il 1917: nel 1917 c’era quel partito (il Partito bolscevico) che, inizialmente minoritario, scontrandosi con le direzioni riformiste (Socialisti Rivoluzionari e menscevichi), guadagnerà la maggioranza nei soviet, trasformandoli da sostenitori del governo borghese (febbraio) nella base del governo operaio (ottobre). Lenin e Trotsky non esalteranno mai i soviet in sé: li vedranno come strutture che possono servire a scopi diversi, a seconda della direzione. Pur senza contrapporre mai i soviet al partito, né il partito alle masse (è anzi Trotsky a usare l’efficace metafora del cilindro ‑ il partito ‑ e del vapore ‑ le masse: due elementi che si completano a vicenda), Trotsky individua l’elemento centrale nel partito. E’ l’elemento centrale così come in una volta c’è una pietra che regge tutte le altre (la “chiave di volta”): non le sostituisce, ma è la pietra più importante.

 

Il partito è la chiave di volta mancante nel 1871

 

A Parigi, nel 1871, non c’era un partito come fu poi quello bolscevico.
Marx era consapevole di questa mancanza fondamentale ed è per questo che subito dopo la proclamazione della Repubblica (settembre 1870) suggerisce agli operai un atteggiamento di opposizione al governo borghese ma non mirante a rovesciarlo immediatamente: “Utilizzino con calma e risolutamente tutte le possibilità offerta dalla libertà repubblicana, per lavorare alla loro organizzazione di classe. Ciò darà loro nuove forze erculee (...) per il nostro compito comune, l’emancipazione del lavoro” (10).
A Parigi prevalgono nella sezione francese dell’Internazionale correnti diverse da quella marxista: proudhoniani, proudhoniani di sinistra (legati a Bakunin). Nella Comune, poi, prevalgono le posizioni di blanquisti e neo-giacobini.

 

Le tendenze del movimento operaio nella Parigi del 1871

 

Questi nomi dicono poco al lettore odierno perché sono tendenze ormai scomparse: e fu proprio l’esperienza pratica della Comune a contribuire alla loro dissoluzione.
I proudhoniani erano i seguaci di Proudhon (padre dell’anarchismo ma anche di tante varianti di riformismo che dobbiamo subire ancora oggi), contro cui Marx si era scontrato per decenni, e con cui aveva polemizzato già nel 1847 con La miseria della filosofia. Proudhon era già morto all’epoca della Comune (morì nel 1865) ma l’influsso della sua tendenza era ancora molto forte in Francia e forti erano le sue posizioni contro ogni idea di centralismo e di dittatura. L’essenza del proudhonismo consisteva, secondo Marx, nel voler porre rimedio ai mali del capitalismo per assicurare la sopravvivenza del capitalismo stesso, riformandolo.
Da una sua ala sinistra si andavano sviluppando in Francia le posizioni anarchiche dei seguaci di Bakunin. Che teorizzavano come soggetto rivoluzionario, al posto della classe operaia, la “canaglia” cioè il sottoproletariato; ed erano sostenitori di una estinzione immediata dello Stato, e avversari della dittatura del proletariato. I bakuniani sostenevano l’”astensione politica” del proletariato ed erano contrari al concetto di un partito per la conquista del potere; si definivano “anti-autoritari”, e volevano un’Internazionale federalista. Erano insomma l’esatto opposto dei marxisti.
Fuori dall’Internazionale c’erano poi i neo-giacobini, che rivendicavano le posizioni di Robespierre e di Marat e che si scontravano, ma talvolta si accordavano, con i blanquisti (che preferivano rifarsi a un’altra figura della rivoluzione francese, Hebert), i seguaci di Auguste Blanqui, definito da Marx “testa e cuore del proletariato francese”, coraggioso rivoluzionario che passò metà della sua vita in carcere (era rinchiuso anche durante la Comune) e che concepiva la rivoluzione come l’insurrezione di una élite di rivoluzionari (essendo gli operai, secondo Blanqui, incapaci di liberarsi culturalmente nel capitalismo). Secondo Engels (che pure aveva stima del grande rivoluzionario francese), Blanqui era “un rivoluzionario di una stagione precedente”, legata all’utopismo. Blanquisti e neogiacobini si avvicinavano più dei proudhoniani all’idea di “centralizzazione” e di “dittatura” dei marxisti (anche se in una forma distorta, non su basi di classe) ma sottovalutavano gli aspetti “sociali” della rivoluzione che, viceversa, i proudhoniani mettevano al primo posto (anche se in una forma distorta).
Riassumendo: le correnti principali erano cinque: neo-giacobini, blanquisti, proudhoniani (federalisti), bakuniani (collettivisti), marxisti. Ma si tratta di una classificazione di comodo. I confini tra un gruppo e l’altro non erano netti, spesso si formavano gruppi trasversali (non esistendo veri partiti): nell’Internazionale c’erano diversi blanquisti (anche se questa corrente non aveva aderito all’Ail); tra i blanquisti non membri dell’Internazionale ce ne erano alcuni più vicini a Marx di molti proudhoniani, che pure facevano parte dell’Ail.
Esistono vari studi in cui si è tentato di classificare i protagonisti della Comune. Il più documentato è quello di Charles Rihs (11) che contraddice decine di altri studi. In realtà non solo non abbiamo (ancora oggi!) una documentazione sufficiente, ma l’esercizio di “etichettatura” dei vari comunardi è in parte inutile in quanto, come commentò Engels, il più delle volte “gli uni e gli altri fecero precisamente il contrario di quello che prescriveva la dottrina della loro scuola”.
Molti dirigenti della Comune trassero insegnamento dalla loro esperienza, avvicinandosi al marxismo: diversi dirigenti blanquisti sostennero le posizioni di Marx al congresso dell’Aja (12) in cui la maggioranza marxista espulse dall’Internazionale gli anarchici di Bakunin che si ostinavano, nonostante la Comune, a negare la necessità di costruire un partito centralizzato della classe operaia per la conquista del potere.
Ma in quei mesi in Francia i marxisti conseguenti si contavano sulle dita delle mani. Per questo Marx mandò a Parigi un operaio dell’Ail a lui vicino: Serraillier (13).
Purtroppo mancò il tempo per costruire un partito marxista perché i tempi della crisi rivoluzionaria li decise la borghesia, attaccando a marzo e costringendo gli operai a difendersi per non essere disarmati e sconfitti.

 

Il ruolo dell’Internazionale e il ruolo dei marxisti

 

Il 14 maggio 1872 è promulgata la legge Dafaure che proibisce in Francia qualsiasi associazione internazionale “che abbia per scopo di promuovere scioperi, l’abolizione del diritto di proprietà, di famiglia, di religione”.
L’obiettivo della borghesia francese è l’Ail diretta da Marx. E’ all’Ail che la borghesia addebita la “colpa” di aver organizzato la Comune.
Ma quale ruolo ha avuto realmente l’Ail? Engels lo riassume così: “(...) la Comune dal punto di vista intellettuale fu assolutamente figlia dell’Internazionale, sebbene questa non mosse un dito per farla (...) anche se ne fu giustamente considerata responsabile” (14).
Che significa? L’Internazionale “non mosse un dito” eppure fu “giustamente considerata responsabile”? La contraddizione è solo apparente. Engels intende dire che l’Internazionale, intesa come il Consiglio Generale diretto da Marx, ebbe purtroppo una scarsa possibilità di direzione; al contempo riconosce l’importanza che la sezione francese e i suoi militanti ebbero nella Comune.
La storiografia (anche marxista) in genere si è fermata solo a una parte delle affermazioni di Engels (i marxisti erano deboli a Parigi) e ha sottovalutato quel riconoscimento di “paternità” che Engels esprime qui e in altri testi.
I dirigenti effettivamente “marxisti”, cioè legati coscientemente alle posizioni di Marx (e della maggioranza dell’Ail), erano pochissimi. C’era a Parigi un diretto rappresentante dell’Ail, inviato, come abbiamo visto, da Marx, Serraillier. Eppure, questo calzolaio, onesto e fedele, non aveva una grande formazione e non era in grado di analizzare compiutamente la situazione, come si capisce dai rapporti che invia al Consiglio Generale di Londra. Oltre a lui, Marx poteva contare a Parigi soltanto su un altro dirigente: l’operaio di origine ungherese Leo Frankel. E basta. C’era solo qualche altro marxista isolato, ad esempio la ventenne Elisabeth Dmitrieff, militante di origine russa dell’Ail, incoraggiata da Marx ad andare a Parigi nel marzo 1871, e che diverrà dirigente della Union des femmes (Unione delle donne). Sappiamo poi che Marx era in corrispondenza anche con un altro dirigente, Eugene Varlin (la più interessante figura della Comune) e che scrisse diverse lettere a Varlin, Serraillier e Frankel, inviate attraverso un commerciante tedesco che viaggiava tra Londra e Parigi. Purtroppo la maggioranza di queste lettere sono andate perse. Le poche lettere rimaste sono però significative. Frankel (incaricato di dirigere la commissione Lavoro della Comune) scrive a Marx (il 25 aprile 1871): “Sarei molto contento se lei volesse in qualche modo aiutarmi col suo consiglio, perché attualmente io sono per così dire solo (...)”. Non disponiamo della preziosa risposta di Marx. Abbiamo però una lettera che Marx scrive (il 13 maggio 1871) a Frankel e Varlin: "Per la vostra causa ho scritto diverse centinaia di lettere in tutti i punti della terra dove abbiamo relazioni. (...). La Comune perde molto tempo, mi sembra, in piccolezze e in dispute personali. (...) Ma tutto ciò non importerebbe niente, se vi riuscisse di recuperare il tempo perduto".
Ma perché Engels rivendica la “paternità” dell’Ail sulla Comune? Perché in realtà l’Ail in Francia era diventata negli anni Sessanta una organizzazione molto importante. Inizialmente diretta da esponenti proudhoniani, aveva visto crescere al suo interno un gruppo di giovani dirigenti operai, e tra loro specialmente quel Varlin citato, operaio rilegatore, autodidatta. Nel 1866 a Parigi l’Ail aveva 600 iscritti; alla vigilia della Comune ne aveva 70 mila (15). Le altre Federazioni, oltre a Parigi, erano a Marsiglia, Rouen, Lione: cioè i principali centri di lotta operaia della Francia. L’Ail animò tutte le importanti lotte e gli scioperi degli anni Sessanta, che prepararono la Comune.
Il problema è che pur avendo molti iscritti (anche se spesso si trattava di iscrizioni collettive) l’Internazionale non disponeva di un partito strutturato ‑ mancava difatti persino un giornale. Non solo: la direzione di questi militanti, inseriti nelle lotte principali, ma spesso non organizzati tra loro, era in mano a socialisti non marxisti.
Ecco perché Marx puntava molto nel tentativo di conquistare Eugene Varlin, che era divenuto di fatto il principale dirigente dell’Ail. Si trattava di un militante di grandi capacità organizzative che cercava di recuperare il tempo perso dai vecchi dirigenti proudhoniani.
Varlin avrà un ruolo fondamentale nella Comune. Oltre ad essere “ministro” della Comune (prima alle Finanze poi alla Sussistenza), sarà eletto nel Comitato Centrale della Guardia Nazionale (che guiderà il 18 marzo ad occupare Place Vendome), ispirerà la Sezione dell’Ail, dirigerà il lavoro della Camera sindacale, sarà tra i principali dirigenti di un embrione di partito rivoluzionario, denominato Delegazione dei Venti Circondari (circondari sono i quartieri o “arrondissements” in cui è divisa Parigi). E’ significativo il fatto che tre di queste organizzazioni avessero sede nello stesso posto: al numero 6 di Place de la Corderie (nella Parigi odierna, diventata rue de la Corderie) c’erano la sede della Camera sindacale, della Delegazione dei Venti Circondari e della sezione francese dell’Ail. Da quanto possiamo capire dai verbali della direzione francese dell’Ail, il dibattito e le decisioni sono spesso orientati dagli interventi di Varlin (16). E Varlin è sempre sostenuto da Frankel e da Serraillier, i due marxisti. Ma Varlin non era marxista, anche se, di provenienza proudhoniana, si stava spostando sempre più a sinistra. Gli storici esprimono definizioni discordanti: c’è chi lo definisce “proudhoniano di sinistra”, chi in rapporto con Bakunin (è il caso di Carr) e chi (Nikolaevskij, ma anche Kaminski) (17) lo definisce ‑ sbagliando ‑ “bakunista”. In realtà chi ha indagato di più, come lo storico Bruhat, ha trovato carte che provano che Bakunin tentò di reclutare Varlin alla sua setta, contro Marx, ma non ci riuscì e ne fu molto deluso (18). Quello che è certo, è che Varlin espresse durante la Comune posizioni lontane da quelle di Bakunin (Varlin poneva l’organizzazione degli operai al centro della lotta, non certo la cospirazione della “canaglia”) e lontane anche da quelle dei proudhoniani, tanto che, da delegato alle Finanze, si scontrò con il dirigente proudhoniano, Jourde, sull’atteggiamento da tenere nei confronti della Banca Nazionale di cui Varlin (come Marx) avrebbe voluto che i comunardi si impadronissero (19).
Insomma, anche Varlin si comportò in maniera spesso differente da quanto prescrivevano le dottrine non marxiste da cui proveniva. Come abbiamo visto, molti dei dirigenti della Comune che sopravvissero al massacro si schierarono nell’Ail con Marx contro gli anarchici di Bakunin al congresso dell’Aja. Probabilmente anche Varlin avrebbe fatto lo stesso ma purtroppo fu arrestato (per la denuncia di un prete) e fucilato a Montmartre il 28 maggio 1871, dopo aver sostituito Cluseret (morto sulle barricate) come ultimo comandante della difesa operaia.
Comunque nel 1871 i marxisti non disponevano di un partito organizzato a Parigi. Fu proprio l’esperienza della Comune a consentire a Marx ed Engels di vincere la battaglia contro gli anarchici di Bakunin al congresso del 1872 all’Aja. In questo congresso (che espulse gli anarchici e decretò lo spostamento della sede centrale a New York, iniziando di fatto la conclusione della Prima Internazionale) esplose l’ “accordo ingenuo di tutte le frazioni” (l’espressione è di Engels) su cui si era retta l’Internazionale fino ad allora. La Comune dimostrò che bisognava costruire partiti organizzati e indipendenti dalla borghesia, basati sul marxismo e cioè sul programma della dittatura del proletariato che aveva fatto la sua prima prova a Parigi. Come scrisse Engels: “Io credo che la prossima Internazionale ‑ dopo che i libri di Marx avranno esercitato la loro influenza per alcuni anni ‑ sarà puramente comunista e propagherà direttamente i nostri principi” (20). Gli ultimi anni di vita di Marx e di Engels furono dedicati proprio alla costruzione di questa Internazionale “puramente comunista” e dei suoi partiti in ogni Paese.

 

Dobbiamo tornare a studiare la Comune

 

Marx e Engels prima, Lenin e Trotsky poi, studiarono a fondo la Comune. Purtroppo disponevano di una documentazione scarsa. La fonte principale di Marx sono le memorie di alcuni membri della Comune e in particolare il libro di Lissagaray, che Marx stesso incoraggiò a scrivere, e di cui curò la traduzione in tedesco (mentre una figlia di Marx, Eleanor, lavorò all’edizione in inglese) (21). Lissagaray era un ottimo giornalista e partecipò alla difesa della Comune ma la sua Storia (pubblicata in Belgio nel 1876) riflette la formazione non marxista dell’autore, un neo-giacobino (22). Lissagaray minimizza il ruolo dei dirigenti dell’Internazionale: dice che nella Comune eletta erano solo tredici (numero sbagliato), non segnalando che, numeri a parte, ricoprirono incarichi di primissimo piano. Non solo: per sviluppare la sua polemica contro i proudhoniani, Lissagaray etichetta come “proudhoniani” tutti i dirigenti parigini dell’Ail, mentre, come abbiamo visto con Varlin, spesso esprimevano posizioni lontane dal proudhonismo.
Lenin si basò sul libro di Lissagaray (una delle poche fonti disponibili ai suoi tempi) e Trotsky utilizzò il libro dello storico Claude Talès, che usa come unica fonte Lissagaray e per questo enfatizza l’aspetto di “caos” della Comune e il peso del proudhonismo, non individuando il ruolo cosciente (per quanto insufficiente perché non organizzato in partito) di tanti dirigenti rivoluzionari, e dei pochi vicini a Marx.
Lenin e Trotsky volendo (giustamente) sottolineare la causa principale della sconfitta della Comune ‑ cioè l’assenza di un partito marxista ‑ tendono (sbagliando) a sminuire il ruolo di “semina” che svolse l’Ail negli anni Sessanta e, privi di documentazione, non scrivono nulla sull’embrione di partito che si stava costruendo in quei mesi a Parigi.
Questo embrione di partito, in cui svolsero un ruolo importante Varlin e Frankel, era appunto la Delegazione dei Venti Circondari. Sia Lissagaray che Talès dedicano ad essa solo poche righe. Eppure i documenti trovati dagli storici a partire dal 1960 ci forniscono oggi un quadro molto diverso (23).
Non abbiamo qui spazio per approfondire il tema che merita un altro articolo. Basti dire che Lissagaray si sbaglia due volte: prima, sostenendo che la Delegazione (nota anche come Comitato Centrale repubblicano dei Venti Circondari) non era legata all’Ail, mentre sappiamo che i suoi principali dirigenti erano membri dell’Ail (5 su 7, tra cui Varlin); secondo, affermando che si sciolse prima della Comune, mentre oggi abbiamo i verbali delle sue sedute che si tennero fino a poche ore prima della caduta delle ultime barricate.
Dallo Statuto della Delegazione (24) sappiamo che per iscriversi sono necessarie tre condizioni: militanza, adesione ai principi “socialisti rivoluzionari”, pagamento delle quote. Il programma è il “rovesciamento rivoluzionario” della democrazia parlamentare borghese, il riconoscimento “come unico governo della Comune rivoluzionaria, emanazione delle delegazioni dei gruppi socialisti rivoluzionari”.
Per le elezioni dell’Assemblea nazionale (febbraio 1871) la Delegazione presenta un programma e dei candidati insieme alla sezione francese dell’Ail e alla Camera federale delle società operaie (Varlin era l’anima di tutte queste organizzazioni!). Il manifesto elettorale afferma che lo scopo è: “l’organizzazione di una repubblica che restituisca agli operai le fabbriche”, realizzando così “la libertà politica attraverso l’eguaglianza sociale”.
Certo la Delegazione aveva al suo interno le varie correnti in cui era diviso il movimento operaio francese e non ebbe il tempo di svilupparsi: nacque infatti subito dopo la proclamazione della Repubblica, il 5 settembre 1870, con un’assemblea di cinquecento operai parigini (anche qui c’era Varlin!). Ma in poche settimane ne uscirono le correnti più moderate e i suoi documenti sono di giorno in giorno più vicini a una posizione marxista.
Se, come sperava Marx, gli operai avessero avuto tempo per “lavorare alla loro organizzazione di classe”, il corso della storia sarebbe stato differente. Tuttavia è ormai certo che questa organizzazione (la cui storia dobbiamo ancora indagare) e i suoi dirigenti ebbero un ruolo centrale nello sviluppo della rivoluzione.
I documenti storici di cui disponiamo oggi confermano comunque la tesi di fondo di Lenin e Trotsky: senza un partito marxista non c’è possibilità di rivoluzione vincente. Quello che Lenin e Trotsky non sapevano quando scrivevano della Comune è che un inizio di quel partito già esisteva e fu grazie ad esso se la Comune si spinse così avanti. Anche nel 1871 la rivoluzione fu il frutto non della “spontaneità” ma della organizzazione dei rivoluzionari. Purtroppo quella organizzazione non ebbe il tempo di consolidarsi in partito marxista, per questo il Comitato Centrale della Guardia Nazionale non fu un vero e proprio “soviet” e per questo la dittatura del proletariato fu nella Comune solo una tendenza incompiuta.
Ma fu studiando i risultati e gli errori dei coraggiosi operai francesi che gli operai russi, diretti dal partito di Lenin e Trotsky, poterono vincere nel 1917. Fu il rombo dei cannoni della Comune di Parigi ad aprire la strada alla Comune di Pietrogrado.

 

 

Note

 

(1) Lettera di Marx a Kugelmann, 17 aprile 1871, in K. Marx, Lettere a Kugelmann, Editori Riuniti, 1976, p. 166.

(2) Claude Talès, La Commune de Paris, 1921, ed. Spartacus, 1998.

(3) Per approfondire queste vicende sono fondamentali due libri di Marx in cui è impiegato magistralmente il metodo materialistico: Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 e Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte (ne esistono edizioni in tutte le lingue, anche sul sito Marxists Internet Archive, www.marx.org).

(4) Per conoscere meglio la vicenda, rimandiamo ai tre indirizzi scritti da Marx per l’Ail e pubblicati in varie lingue col titolo La guerra civile in Francia. Molto interessanti sono anche gli articoli di Engels (esperto di questioni militari) sulla guerra pubblicati sul quotidiano di Londra The Pall Mall Gazette (in italiano: Note sulla guerra franco-prussiana, ed. Lotta Comunista, 1996) di cui Trotsky curò la pubblicazione in Russia e studiò quando gli fu affidata la direzione dell’Armata Rossa.

(5) Nel primo Indirizzo scritto da Marx per l’Ail si fa anche appello agli operai tedeschi perché non permettano a Bismarck di trasformare la guerra in guerra di conquista. Quando poi a Parigi nasce la repubblica, con il secondo Indirizzo l’Internazionale condanna le mire espansioniste del governo prussiano e fa appello agli operai tedeschi perché, a questo punto, difendano la Repubblica francese insieme agli operai francesi.

(6) Alla fine di febbraio (1871), un’assemblea di duemila delegati di battaglioni della Guardia Nazionale approva la costituzione in Federazione repubblicana (solo pochi battaglioni dei quartieri borghesi rimangono fuori da questa struttura). Al primo punto del programma vi è l’abolizione dell’esercito permanente e la sua sostituzione con una milizia dei lavoratori. E’ la proclamazione di rottura con lo Stato borghese e la volontà di sciogliere le sue “bande armate” proclamandosi come unica forza armata.

(7) L’errore delle elezioni sarà sottolineato da Marx in vari testi. Ad esempio, in una lettera a Liebknecht del 6 aprile 1871 scrive: "(...) per non aver l'aria di usurpare il potere, hanno perduto un tempo prezioso a eleggere la Comune (...) mentre bisognava impiegarlo per marciare su Versailles (...)". Kautsky capovolse questo giudizio, cercando di usare la Comune “democratica” contro la dittatura dei bolscevichi. Lenin e Trotsky gli risposero con due “anti-Kautsky” dimostrando che gli operai parigini si erano comunque contrapposti alla “legittimità democratica” borghese: le elezioni per la Comune avvennero infatti a suffragio universale ma nei fatti la borghesia era già stata messa in fuga e i pochi eletti borghesi furono costretti a dimettersi.

(8) Vedi La dittatura rivoluzionaria del proletariato, testo scritto nel 1978 da Moreno in polemica con la revisione (in senso negativo, questa volta) fatta da Mandel.

(9) Si tratta di articoli e lettere di Trotsky contenuti nel libro, pubblicato da Pathfinder Press (1977), The crisis of the french section. In questi testi, in realtà, Trotsky riprende un concetto che aveva già iniziato a sviluppare negli anni Venti in Terrorismo e comunismo. E’ in quest’ultimo libro (nel capitolo VI) che per la prima volta parla del Comitato Centrale della Guardia Nazionale come del “soviet di quel periodo”. Lo stesso concetto è contenuto ne La storia della rivoluzione russa: “La Guardia Nazionale forniva agli operai una organizzazione armata, assai analoga al tipo sovietico, e una direzione politica, rappresentata dal CC della Guardia Nazionale stessa” (pag. 616 dell’edizione italiana, Mondadori, 1978).

(10) Vedi il secondo Indirizzo scritto da Marx per il Consiglio Generale dell’Internazionale (9 settembre 1870). Qui citato dalla edizione Newton Compton, 1978, p. 83.

(11) Charles Rihs, La Commune de Paris, sa structure et ses doctrines, Ed. Du Seuil, 1973.

Secondo Rihs sui circa 90 eletti: 40 erano neo-giacobini (Delescluze, ecc.); 15 erano blanquisti (Rigault, Protot, Flourens, i membri dell’Ail Duval e Vaillant, ecc.); 23 erano membri dell’Ail (Frankel, Varlin, Vaillant, Malon, Serraillier, Longuet, ecc.). Invece secondo uno studio di Jean Maitron (Hommes et femmes de la Commune, pubblicato nella rivista La Commune, n. 3, 1976) su 89 membri del Consiglio della Comune, 45 erano militanti dell’Ail. Altri autori parlano di 30 membri dell’Ail: le cifre sono diverse in ogni studio.

(12) I blanquisti sopravvissuti al massacro si rifugiarono a Londra, raggruppandosi attorno a Emile Eudes, condannato a morte in contumacia da Versailles. Vaillant e altri entrarono nel Consiglio Generale dell’Ail, sostenendo le posizioni di Marx contro Bakunin e Guillaume.

(13) Marx scrive a Engels della missione che ha affidato a Serraillier in una lettera a Engels del 6 settembre 1870 (VI volume del Carteggio Marx Engels, p. 146-147 Edizioni Rinascita, 1953).

(14) Lettera di Engels ad A. Sorge, 12 settembre 1874, in Marx ed Engels, Lettere 1874-1879, ed. Lotta Comunista, 2006, pag. 35.

(15) Questi dati, basati su molte fonti, sono citati nel libro di Rihs (v. nota 11).

(16) Sul sito http://gallica.bnf.fr/ si trovano decine di libri sulla Comune scaricabili gratuitamente (in francese). In particolare è importante: Les séances officielles de l'Internationale à Paris pendant le siège et pendant la Commune. (1872).

(17) I libri citati sono: E.H. Carr, Bakunin, The Macmillan Press, 1975; B. Nikolaevskij, Karl Marx, 1937, ed. Einaudi, 1969; H. E. Kaminski, Bakunin, 1938, ed. Graphos, 1999.

(18) Jean Bruhat, Eugene Varlin, Editeurs Français Réunis, 1975. Bruhat porta prove del tentativo di Bakunin di far aderire Varlin alla sua organizzazione e anche di un tentativo fallito di far sottoscrivere a Varlin un attacco contro Marx (pag. 146-147 della biografia). Bruhat cita poi una importante lettera di Bakunin (del 7 luglio 1870) in cui il dirigente anarchico scrive: “[Varlin] è un’eccellente e utile figura, ma è lontano dall’essere assolutamente dei nostri”.

(19) Ne parla un altro biografo (Paul Lejune, Eugène Varlin, Pratique militante e écrits d’un ouvrier communard, ed, Maspero, 1977) che rivela del disaccordo tra Varlin e Jourde sulla questione della Banca. Interessante è anche la biografia più recente: Michele Cordillot, Eugene Varlin, chronique d’un espoir assassiné, Les Editions Ouvrières, 1991.

(20) Engels, v. la nota 14.

(21) V. Yvonne Kapp: Eleanor Marx Einaudi, 1977, vol. I, p. 158-162.

(22) Per conoscere la figura di Lissagaray v. René Bidouze, Lissagaray, la plume et l’épée, Les Editions Ouvrières, 1991.

(23) Per approfondire il tema è fondamentale un libro uscito solo nel 1960: Jean Dautry e Lucien Scheler, Le Comité Central Républicain des vingt arrondissements de Paris, Editions Sociales, 1960. Dautry è anche autore con Bruhat e Tersen (tutti purtroppo di orientamento stalinista) del più documentato studio sulla Comune: La Commune de 1871, Editions Sociales, 1970.

(24) Dal libro di Dautry e Scheler (v. nota 23).

 

 

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