Partito di Alternativa Comunista

Il nostro 25 novembre

Il nostro 25 novembre

 

 

 

Commissione Donne Pdac

 

105 È il numero di Giulia nell’elenco delle vittime di femminicidio in Italia nel 2023. Ma il contatore non si è fermato e non si fermerà, purtroppo. Senza speculare e senza spettacolarizzare come stanno facendo i media in questi giorni, vogliamo partire proprio da qui e dalle reazioni massicce che hanno popolato l’Italia in questi giorni, protagonisti soprattutto i giovani. Perché, a dispetto dei discorsi sulla maggiore informazione e formazione delle nuove generazioni, l’età si abbassa tra vittime e carnefici (sono ancora vividi i fatti di stupro dell’estate appena passata).
La vicenda di Giulia è arrivata con la stessa forza di un pugno nello stomaco: ci ha tolto il fiato perché ci ha colti impreparati, perché non ci sono stati segnali, perché c’è il sapore della «normalità». Come ha detto la sorella di Giulia, non c’è nessun mostro da sbattere in prima pagina, ma c’è una quotidianità nella quale in tante, troppe giovani donne si sono riconosciute. Abbiamo misurato quanto la violenza sia vicina a ciascuna di noi, abbiamo constatato quanto sia difficile individuare i segnali della violenza, le cosiddette «red flags».
La reazione vigorosa delle giovani e dei giovani è il sintomo della ricerca di risposte e di soluzioni. Risposte e soluzioni che nonostante le riforme, le dichiarazioni d’intenti e le prese di posizione di questo o quel rappresentante politico o di movimento si scontrano con la realtà dei fatti: questo sistema non vuole migliorare la nostra situazione, così come quella di altre categorie oppresse, perché la divisione tra uomini e donne, tra bianchi e neri, tra nativi e migranti è funzionale al controllo di una classe sull’altra e ad un maggior sfruttamento.
Un altro mondo è possibile, per le donne è necessario! Costruiamo insieme, uomini e donne della classe lavoratrice, un’alternativa alla via istituzionale, all’empowerment, al riformismo, percorriamo insieme la strada verso il socialismo, verso la realizzazione di un mondo dove essere «socialmente uguali, umanamente differenti e totalmente liberi».

 

Pubblichiamo qui la dichiarazione della Segreteria Internazionale delle Donne della Lit-Quarta Internazionale.

 

Per un 25 novembre di lotta e solidarietà, di classe e internazionale

 

Più si approfondisce la decadenza capitalista, più le donne si devono scontrare con l'aumento della violenza e dei femminicidi. Lungi dal porre fine alla disuguaglianza di genere e al maschilismo, questo sistema di discriminazione e sfruttamento condanna le donne lavoratrici a una vita di miseria e fame e anche di violenze ripetute: aggressioni, stupri, erosione di diritti, femminicidi e transfemminicidi.
Una donna su tre nel mondo ha già sperimentato direttamente la violenza maschile. Ogni 11 minuti una donna viene uccisa dal suo partner o da un membro della sua famiglia, quasi sempre nella sua stessa casa, dove dovrebbe essere più al sicuro. I matrimoni forzati si moltiplicano con le guerre e i cambiamenti climatici. Le reti di traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale continuano a crescere.
Le vittime principali sono donne e ragazze (2 persone su 3 costrette al matrimonio e il 71% delle vittime della tratta sono donne). E se tutta questa violenza non bastasse, molte donne devono ancora convivere con la perdita di padri, mariti e figli a causa di guerre, razzismo e/o omobitransfobia. Finché questo sistema continuerà a esistere, nessuna di noi avrà pace.
Se i governi borghesi di destra e ultradestra colpiscono soprattutto i settori più oppressi della nostra classe, anche i cosiddetti governi «progressisti» di conciliazione di classe non fanno molto per migliorare le nostre condizioni di vita. Tutti sono incapaci di porre fine alla violenza contro le donne perché, nonostante le loro leggi e il loro apparato giudiziario e carcerario, governano per la borghesia, che ha bisogno di riprodurre l'oppressione e il maschilismo per continuare a dividere la classe e a supersfruttare le donne lavoratrici.
Per tutte queste ragioni, in questo 25 novembre dobbiamo ribadire con forza la nostra opposizione e le nostre rivendicazioni a questi governi, facendo appello alla lotta nell'indipendenza di classe, unendo classe operaia e giovani, contro tutte le oppressioni.

 

Fermare il genocidio a Gaza! Le donne lavoratrici con la resistenza palestinese

L'aumento dei conflitti bellici nel mondo accresce le difficoltà e le sofferenze delle donne lavoratrici e povere. Anche quest'anno scendiamo in piazza a sostegno di chi lotta per una maggiore uguaglianza e contro la violenza maschilista, scontrandoci con feroci dittature e in prima linea nella resistenza delle lotte di liberazione nazionale dei popoli oppressi, come nel caso delle donne in Ucraina e in Palestina. In questo 25 novembre, giornata internazionale contro ogni violenza maschile, la nostra lotta si tinge dei colori della bandiera palestinese per chiedere la fine del genocidio israeliano del popolo palestinese. Non possiamo immaginare una violenza peggiore contro le donne che bombardare i loro figli e le loro figlie, portarli via dalle loro case, distruggere le loro vite. Non è una guerra tra Hamas e Israele, è una pulizia etnica!
Nonostante quello che dice la propaganda governativa, bombardare ospedali, centri profughi o uccidere bambini ogni dieci minuti non ha nulla a che fare con Hamas: è il frutto del progetto sionista di pulizia etnica e di espulsione dei palestinesi dalla Striscia di Gaza. È un massacro in cui donne, bambini e anziani sono la maggioranza delle oltre 16.000 persone uccise dagli attacchi israeliani nel momento in cui scriviamo. Migliaia sono ancora sotto le macerie, molti bambini stanno morendo per mancanza di cure mediche e 50.000 donne incinte stanno sopravvivendo senza cibo sufficiente e acqua pulita con l’unica possibilità di partorire a terra, senza accesso alle forniture di base o a operatori sanitari che le aiutino. Gli operatori sanitari sono costretti a praticare parti cesarei senza anestesia: questo è un crimine di guerra!

 

Israele enclave coloniale razzista che colpisce le donne

Israele non è una democrazia con uguaglianza, ma un regime di apartheid razzista e sociale, che colpisce in modo particolare le donne. Israele è un'enclave coloniale militare costruita con il sangue di un popolo colonizzato e alimentata dalle potenze imperialiste per difendere i loro interessi in territori strategici. La campagna che Israele ha condotto per oltre un decennio per presentarsi come lgtbtfriendly e come esempio di uguaglianza grazie alla presenza di donne nelle forze armate israeliane è falsa e ipocrita.
È impossibile elencare tutte le forme di violenza subite dalle donne e dalle ragazze palestinesi sotto l'occupazione militare israeliana e le politiche di esclusione. Sia a Gaza che in Cisgiordania, le donne sono spesso detenute ai posti di blocco e nelle incursioni notturne, trascorrono diversi giorni o mesi in prigione. Molte vengono abusate sessualmente, picchiate e torturate.
Le donne palestinesi devono affrontare l'enorme onere della cura e del mantenimento delle loro famiglie nelle condizioni di vita estreme del territorio, oltre a una maggiore responsabilità per il lavoro non retribuito e le faccende domestiche, il che aumenta il rischio di violenza di genere.
Subiscono attacchi violenti da parte dei coloni israeliani e vivono in costante allerta per paura che le loro case vengano distrutte, vengano sgomberate con la forza o che i loro parenti vengano arrestati, feriti o uccisi. Anche il loro diritto alla salute risente delle conseguenze dell'occupazione e delle politiche di blocco che subiscono da anni. Nel suo tentativo di controllare il popolo palestinese, il regime sionista rafforza le strutture familiari conservatrici e maschiliste.

 

Le donne palestinesi fanno parte della resistenza

Ma le donne palestinesi non sono solo vittime del conflitto, sono storicamente protagoniste molto attive nella lotta di liberazione nazionale del loro popolo.
Già alla fine del XIX secolo partecipavano alla resistenza contro gli Ottomani per difendere la loro terra, come contadine espropriate della terra su cui lavoravano. Nel 1936 parteciparono allo sciopero nazionale contro il colonialismo britannico che favorì l'immigrazione israeliana in territorio palestinese e da allora resistono. Molte si uniscono alle proteste che si tengono ogni anno in occasione dell'anniversario della Nakba, che Israele reprime violentemente, e in cui chiedono il diritto al ritorno della popolazione rifugiata.
Un esempio di questa resistenza femminile è la giovane Ahed Tamimi, che a 14 anni ha affrontato i soldati israeliani, a 17 è stata imprigionata per 8 mesi con accuse inventate e ora è stata nuovamente arrestata perché simbolo della lotta palestinese. Ma ci sono altri esempi di donne che guidano questa resistenza dentro e fuori la Palestina, nella diaspora.
Nella loro lotta di liberazione nazionale, le donne palestinesi non rinunciano ai propri diritti di donna. Un esempio è la rivolta che ha portato all'assassinio della giovane Israa Gharave. Migliaia di donne sono scese in piazza per chiedere giustizia per Israa e miglioramenti nella protezione delle vittime di violenza maschile con leggi paralizzate dal governo dell'Autorità nazionale palestinese. A seguito della pressione popolare, le autorità giudiziarie hanno formalmente accusato tre membri della famiglia di Israa di essere responsabili del crimine. Ma senza dubbio, oggi, il più grande nemico delle donne palestinesi e la più grande causa della loro oppressione è il regime sionista. Non ci sarà pace senza giustizia sociale e non ci saranno donne libere senza una Palestina libera!

 

Per i nostri diritti democratici, basta con la repressione e l'islamofobia!

Nelle massicce mobilitazioni a sostegno del popolo palestinese in Europa e negli Stati Uniti, molte donne migranti di prima, seconda e terza generazione provenienti dal Medio Oriente o dal Maghreb, dall'Asia e dall'Africa sentono la causa palestinese come propria. La criminalizzazione della solidarietà con la Palestina da parte dei governi imperialisti è la continuazione delle loro politiche razziste e islamofobe, che impediscono a queste donne migranti di vivere dignitosamente.
Siamo contrarie al femminismo che condanna le azioni di Hamas contro le donne e i bambini israeliani come «terroristiche», equiparando la violenza del colonialismo oppressivo alla violenza dei popoli oppressi nella loro lotta di liberazione. Denunciamo donne come Ursula Von Der Layen, presidente della Commissione Europea e tutte le donne a capo di ministeri dei governi imperialisti che difendono lo Stato di Israele: sono complici del genocidio sionista. Denunciamo la propaganda islamofobica diffusa dall'Occidente, in cui le donne musulmane vengono dipinte come sottomesse, non istruite, oppresse e coperte da burqa o niqab, che dovrebbero essere «salvate». 

 

Perché le donne palestinesi abbiano pace, libertà e uguaglianza, il primo compito è distruggere lo Stato di Israele

In questo conflitto, noi donne lavoratrici prendiamo posizione. Siamo a favore della più ampia unità d'azione con tutte le organizzazioni in Palestina e altrove che chiedono la fine dell'attacco militare di Israele e sostengono la lotta palestinese.
Come socialisti rivoluzionari, pensiamo che dobbiamo protestare e respingere la falsa soluzione dei due Stati, di cui alcuni governi stanno nuovamente parlando. Una politica che negli ultimi anni è servita solo a coprire il progetto sionista e che ora è più impraticabile che mai. Una Palestina libera non verrà né dalle Nazioni Unite né dai negoziati di pace promossi dai governi che riconoscono l'esistenza di Israele.
Il massacro di Gaza dimostra che non esiste alcuna possibilità di una soluzione a due Stati con Israele, il cui regime ha caratteristiche nazifasciste e il cui obiettivo è espellere i palestinesi sotto la minaccia delle armi. Noi sosteniamo il programma storico abbandonato dall'Olp: una Palestina laica, democratica e non razzista. Ma non siamo pacifisti. Sappiamo che ciò richiederà la sconfitta militare di Israele e ancor più la sua distruzione come Stato coloniale, senza la quale sarà impossibile ottenere una Palestina libera dal fiume al mare, in cui le donne palestinesi possano realizzare le loro richieste e rivendicazioni.
In questo compito, siamo per l'unità militare con tutte quelle organizzazioni che mirano alla distruzione di Israele. È molto difficile da realizzare perché Israele è la quarta potenza militare del pianeta. E ha il sostegno diretto dell'imperialismo statunitense e degli imperialismi europei.
Per distruggere Israele è necessario combinare la lotta militare con un'insurrezione delle masse lavoratrici arabe in tutta la regione, in un processo rivoluzionario contro la borghesia e le sue organizzazioni. La storia insegna che è possibile sconfiggere anche una potenza imperialista egemone quando si combinano mobilitazione di massa e lotta armata. Uno degli esempi storici più recenti è stata la guerra del Vietnam, dove gli Stati Uniti sono stati sconfitti nel 1975 grazie all'eroica resistenza dei Vietcong, unita alle mobilitazioni di massa in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti.
Come Lit-Quarta Internazionale ci uniamo all'appello di migliaia di donne nel mondo, chiamiamo tutta la classe operaia e i giovani a sostenere le mobilitazioni indette il 25 novembre e a scendere in piazza per difendere la vita e la dignità delle donne palestinesi e rivendicare:

 

- Stop all'assedio e al genocidio contro Gaza!

- No al regime di apartheid sionista! Basta!

- Pretendiamo che tutti i governi rompano le relazioni diplomatiche, commerciali e militari con lo Stato sionista assassino e chiudano le ambasciate nel Paese!

- Le truppe imperialiste fuori dal Medio Oriente!

- Chiediamo alla classe operaia e ai sindacati di sabotare la produzione e la spedizione di armi a Israele!

- Per il sostegno popolare e lo slancio della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (Bds) contro Israele!

- Per la sconfitta militare di Israele! Per una Palestina libera, laica, democratica e non razzista, dal fiume al mare!

 

Viva le donne palestinesi, guerriere senza pari che lottano per il loro popolo e la loro libertà!

 

 

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