25N: per porre fine alla violenza e all'oppressione,
seguiamo l'esempio di resistenza e di lotta delle donne iraniane,
ucraine e sudanesi
Dichiarazione della Lit-Quarta Internazionale
Nel 1999 l’Onu ha istituito il 25 novembre come una giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Tuttavia, dopo 23 anni, la violenza maschilista non solo non è diminuita, ma sta crescendo in modo terrificante e generalizzato.
Non si può continuare così: non accettiamo più di vivere perennemente nella paura! Non è più necessario aspettare la «buona volontà» dei governi e delle istituzioni borghesi per porre fine alla violenza. È più che dimostrato che le migliaia di dichiarazioni a favore delle donne non sono altro che una distrazione. Per far finire la violenza maschilista ci vuole una risposta forte nelle strade, da parte di tutta la classe operaia e delle sue organizzazioni, con le donne in prima linea, per chiedere misure concrete: lottiamo per distruggere la fonte di tutta l'oppressione e dello sfruttamento, che è il capitalismo, seguendo l'esempio delle donne iraniane, ucraine e sudanesi che sono diventate simboli di resistenza e di lotta per i lavoratori di tutto il mondo!
Violenza maschilista
Stupri, aggressioni, mutilazioni, molestie, matrimoni forzati. Violenze di ogni tipo commesse sia nella sfera privata che in quella pubblica, da conoscenti ed estranei, e nelle circostanze e nei contesti più svariati. Nessuna donna è al sicuro. Secondo l’Onu, 1 donna su 3 ha subito o subirà una qualche forma di violenza nel corso della sua vita.
La violenza inizia presto: la metà delle donne dell'Unione europea ha denunciato molestie sessuali già a 15 anni. In Africa centrale e meridionale, il 40% delle giovani donne si sposa prima dei 18 anni. In Brasile, dove solo nel 2021 sono stati registrati più di 66.000 stupri, il 61% delle vittime erano ragazze di appena 13 anni.
L’aspetto più drammatico di questa violenza è il femminicidio: ogni 11 minuti una donna viene uccisa in qualche parte del mondo semplicemente perché è una donna. Per non parlare degli stupri correttivi commessi nei confronti di Lgbt e dei transfemminicidi, le cui vittime sono quasi sempre donne trans, con frequenti efferatezze.
Nella maggior parte dei casi l'aggressore è un conoscente della donna. I femminicidi intimi, commessi da partner o ex partner, rappresentano il 38% di tutti i crimini di questa natura. A titolo di confronto, solo il 5% degli omicidi maschili è commesso da una partner. Secondo l'Oms, negli ultimi anni questo tipo di femminicidio è aumentato tra le donne incinte e le donne con figli neonati. La negligenza dello Stato e dei governi, per azione o omissione, li rende complici di tutte queste violenze e della morte delle donne.
Maschilismo e capitalismo
Il capitalismo impone alle donne lavoratrici e povere condizioni degradanti di violenza. Nei Paesi a basso o medio reddito, si stima che il 37% delle donne viva in situazioni di violenza fisica e/o sessuale da parte del partner, in alcuni di questi Paesi la prevalenza è di 1 vittima ogni 2 donne. La crisi economica, sanitaria e ambientale e le conseguenze dirette e indirette della guerra in Ucraina rendono ancora più drammatica la vita delle donne e di altri settori oppressi. In tempi di crisi economica e di guerre come quella attuale, la violenza contro gli oppressi raggiunge livelli brutali. E non è un caso che la violenza domestica sia esplosa nella pandemia. Il maschilismo radicato nella società borghese capitalista rende la casa uno degli ambienti più pericolosi per le donne.
Non è che la violenza sia un'esclusiva dei poveri, ma le disuguaglianze economiche e sociali si sommano perché ostacolano e, in alcuni casi, rendono addirittura impossibile per le donne uscire dal ciclo della violenza. Fattori come l'occupazione e il reddito per provvedere ai figli nel caso in cui debbano lasciare una casa violenta sono fondamentali. Ma in un mondo in cui più della metà (51,5%) di tutte le donne lavoratrici è fuori dal mercato del lavoro e, come se non bastasse, in tempi di crisi capitalistica i posti di lavoro delle donne sono i primi a essere sacrificati, si può capire perché sia così difficile per le donne uscire dalla violenza.
Ancora peggio per le donne nere, perché la combinazione di maschilismo e razzismo impone alle donne nere ancora più umiliazioni, più povertà, più disuguaglianza e più violenza.
Lo stesso si può dire dei piani di aggiustamento e delle controriforme sociali attuate dai governi di tutto il mondo - siano essi di destra o di estrema destra, ma anche di sedicente sinistra che governano in base agli interessi borghesi e imperialisti - in quanto i tagli alla spesa pubblica colpiscono i programmi di lotta contro la violenza e il sostegno alle donne vittime, soprattutto le più povere che ne hanno più bisogno.
La mancanza di interesse politico e di misure concrete per combattere la violenza contro le donne non è un caso. L'oppressione delle donne, con tutte le sue componenti: disuguaglianza, oggettivazione, violenza, ecc. fa parte della logica capitalista e serve a mantenerla. La riproduzione di ideologie e comportamenti sessisti mantiene la classe divisa e assicura il dominio borghese, oltre ad aumentare i profitti attraverso l'eccessivo sfruttamento delle lavoratrici e il mantenimento di un esercito di riserva che fa pressione sui salari e sul tenore di vita della classe. D'altra parte, la naturalizzazione della cura della casa e dei figli da parte delle donne consente alla borghesia di risparmiare sui costi riproducendo il lavoro retribuito attraverso il lavoro non retribuito e sfruttato, svolto dalle donne nella sfera familiare.
L'oppressione e la violenza contro le donne sono di per sé molto redditizie. La prostituzione, la pornografia e tutte le forme di sfruttamento sessuale delle donne, comprese le minorenni, in cui la sessualità e il corpo vengono trasformati in semplici merci, generano profitti multimiliardari. La cosiddetta «industria del sesso» è una delle attività più lucrative al mondo, paragonabile solo all'industria delle armi o al traffico di droga. Un business che cresce di pari passo con la precarietà del lavoro e la povertà della classe operaia, e nel quale sono spesso coinvolti diversi apparati statali.
Comprendere questa dimensione dell'oppressione e il suo legame con il sistema capitalistico è fondamentale per dare alle lotte delle donne contro la violenza maschilista una prospettiva corretta, di classe e antisistema, comprendendo che non si tratta di una lotta tra «generi» o solo di donne, ma di tutta la classe operaia e delle sue organizzazioni: bisogna evitare di rendere invisibile questo tema o di relegarlo a date specifiche, serve una campagna attiva e quotidiana tra i lavoratori contro la violenza, i comportamenti e la cultura sessisti, sostenendo e incoraggiando le donne a organizzare l'autodifesa.
Sono necessarie anche misure concrete da parte dello Stato e dobbiamo lottare per ognuna di esse. È necessario chiedere ai governi di realizzare ampie campagne educative contro il maschilismo e la violenza nei media, nelle scuole, nei quartieri e nei luoghi di lavoro; di indagare e punire rigorosamente i crimini commessi contro le donne; di istituire servizi per l'assistenza alle donne vittime; di assicurare garanzie economiche e sociali che consentano alle donne di spezzare il ciclo della violenza. Le dichiarazioni non sono sufficienti, solo attraverso politiche concrete è possibile ridurre realmente i tassi di violenza contro le donne.
Seguiamo l'esempio delle donne iraniane, ucraine e sudanesi
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a importanti lotte in cui le donne hanno avuto un ruolo di primo piano o sono state dirette protagoniste, incoraggiando le donne lavoratrici di tutto il mondo a continuare a organizzare la lotta contro l'oppressione e la violenza.
In particolare, il ruolo delle donne iraniane nella rivolta contro la morte di Amini, una giovane donna curda uccisa dalla «polizia morale», che è diventata una miccia nella lotta delle donne per la vita e la libertà, contro il regime degli ayatollah e il governo Raisi da parte del popolo di quel Paese. Quello delle donne ucraine, che come parte della resistenza popolare sono riuscite finora a scoraggiare l'invasione russa, affrontando nel processo l'oppressione e la violenza dell'esercito nemico, ma spesso anche quella dei loro stessi compagni. Così come le donne sudanesi che, a un anno dal colpo di Stato nel Paese, continuano coraggiosamente a rischiare la vita e la libertà nella lotta contro il regime militare.
Anche le donne di tutta l’America hanno dato un esempio di lotta e resistenza, mobilitandosi per il diritto all'aborto, in alcuni casi con successi, in altri con battute d'arresto, ma sempre resistendo; reagendo alla violenza maschilista con mobilitazioni sempre più radicali.
Il 25 novembre è stato istituito in onore delle sorelle Mirabal, assassinate dalla dittatura di Trujillo nella Repubblica Dominicana. Vogliamo recuperare lo spirito della data esprimendo tutta la nostra solidarietà alla lotta di queste donne: iraniane, ucraine, sudanesi che oggi sono un simbolo della lotta delle donne lavoratrici di tutto il mondo contro l'oppressione e la violenza. Per questo motivo, il prossimo 25 novembre invitiamo tutti a riempire le strade di tutto il mondo per dire basta alla violenza, per la fine del capitalismo e per la costruzione del socialismo.