La vicenda Telecom
A proposito del mito capitalista della "cultura di impresa"
Alberto Madoglio
In queste settimane le cronache politico finanziarie si stanno nuovamente interessando della sorte del più grande gruppo di telecomunicazioni nazionale, Telecom Italia (Ti). Ciò che sta accadendo a questa azienda si inserisce in un quadro più ampio di feroce competizione a livello mondiale nel quale anche le maggiori imprese italiane sono impegnate per accaparrarsi nuovi spazi di mercato e profitti sempre maggiori.
Concorrenza e attacco ai lavoratori
Nello specifico, il settore delle telecomunicazioni è uno di
quelli in cui la concorrenza internazionale è più spietata, soprattutto dopo
l'esplosione della bolla speculativa legata allo sviluppo di internet e delle
nuove tecnologie, avvenuta nel 2000. Molte delle imprese nate nella fase
iniziale dello sviluppo della "new economy" sono sparite, altre si sono
fortemente ridimensionate, e anche quelle che sembravano più solide (France
Telecom, Deutche Telekom, la spagnola Telefonica), si trovano in una situazione
di difficoltà, oberate da un enorme indebitamento che ne limita fortemente lo
sviluppo. Il caso di Ti non è quindi isolato e le sue particolarità sono dovute
al fatto che la borghesia imperialista italiana è più debole rispetto a quella
di altri paesi, ma non per questo meno rapace.
La privatizzazione di Ti fatta dal primo governo Prodi, col
sostegno determinante di Rifondazione, ha permesso, insieme a quella dell'Eni,
dell'Enel e di molte banche all'epoca di proprietà statale, di creare la base
materiale per permettere al capitalismo italiano di affrontare la nuova
situazione economica delineatasi dopo il crollo del Muro di Berlino e la
nascita dell'euro. Dalla Fiat a Colaninno, fino ad arrivare alla Pirelli di
Tronchetti Provera, i vari azionisti che nel tempo hanno avuto il controllo di
Ti hanno applicato una ricetta fatta di tagli al personale, precarizzazione del
lavoro, aumento esponenziale dei debiti nello stesso momento in cui aumentavano
i profitti. Ora questo gioco sembra essere arrivato al capolinea, anche grazie
al fatto che il valore delle azioni di Ti si è dimezzato rispetto ai massimi di
qualche anno fa.
La farsa dell'"italianità imprenditoriale"
L'annuncio fatto da Tronchetti Provera, di essere pronto a
vendere la sua quota in Ti a una cordata composta dalla statunitense AT&T e
alla messicana America Movil, ha fatto cadere nel panico i politici italiani di
entrambi gli schieramenti. Appelli a difesa dell' "italianità" di Ti insieme ad
analisi bizzarre sulla mancanza della "cultura di impresa" da parte del
capitalismo nostrano, hanno monopolizzato il dibattito sui mezzi di
telecomunicazione.
Quando politici, analisti economici e giornalisti parlano di
interesse nazionale, in realtà parlano dell'interesse di poche famiglie
capitalistiche a veder tutelati i loro profitti. Si dimenticano infatti di
ricordare che per loro l'interesse nazionale prevede la distruzione del welfare
state (pensioni, sanità, scuola ecc.), la perdita del potere d'acquisto dei salari
dei lavoratori e un generale impoverimento per milioni di persone.
Non sappiamo ancora con certezza quale sarà l'epilogo della
vicenda. E' possibile che la chiamata alle armi fatta dal governo dia qualche
risultato. Che le maggiori banche italiane si accollino l'onere di "salvare" Ti,
da sole o insieme ai potenziali acquirenti d'oltreoceano. Forse si chiederà
l'intervento delle aziende di Berlusconi. E' anche possibile che la
competizione fra gli stessi alleati di governo porti ad un risultato che nessuno
dei tre maggiori azionisti dell'esecutivo (Prodi, Margherita e Ds) auspica,
anche se in queste ultime ore il ruolo da protagonista assunto da Intesa San
Paolo (banca i cui dirigenti sono di stretta osservanza prodiana), ci può far
dire che sarà il Primo Ministro ad avere l'ultima parola.