Partito di Alternativa Comunista

Il seminario di formazione nazionale

Il seminario di formazione nazionale

Un passo in avanti nella costruzione del partito

 

Ruggero Mantovani

 

Con la nascita di “Progetto Comunista - Rifondare l’Opposizione dei Lavoratori”, la formazione teorico - politica dei militanti e dei quadri assume un ruolo centrale per il suo sviluppo. Tanto più oggi, è necessario accrescere e potenziare una scuola d’educazione politica il cui portato essenziale non può essere il riflesso di un esercizio di acculturazione libresca sui temi del marxismo rivoluzionario, ma la formazione di quadri e di militanti che fin da oggi si pongono sul terreno della costruzione del partito rivoluzionario.

Un primo momento significativo in questa direzione è stato caratterizzato dal Seminario nazionale che si è tenuto a Bellaria dal 21 al 23 luglio del 2006. Un’esperienza preziosa e ben riuscita, sia per i temi trattati ma soprattutto per il dibattito che si è animato tra i partecipanti, espresso con domande specifiche ai relatori e con approfondimenti sui temi affrontati.

La scelta degli argomenti trattati dai relatori, pur nella loro specificità e diversità del campo d’indagine, hanno mostrato una sostanziale omogeneità d’approccio teorico. In definitiva, il tentativo (riteniamo ben riuscito) è stato quello di far emergere i fondamenti del marxismo rivoluzionario, nel suo specifico storico e nella sua evoluzione, approfondendo alcune esperienze del movimento operaio internazionale che hanno di fatto confermato l’attualità della prospettiva rivoluzionaria e socialista.

Una prospettiva, quest’ultima, che indica come la formazione politica per un partito d’avanguardia non è un riflesso ideologico e scolastico, la ricerca chimica di codici teorici, ma si misura anzitutto nella necessità di costruire e sviluppare quel patrimonio politico che, nell’esperienza pratica, diviene un’imprescindibile “cassetta degli attrezzi”.

 

La questione sindacale

 

Il seminario di formazione teorico-politica che si è tenuto a Bellaria si è costruito su due direttrice fondamentali: la centralità del programma transitorio nella sue origini e nelle specifiche esperienze storiche; nelle sue implicazioni pratiche e nella tattica sindacale; le radici del riformismo e la necessità della costruzione del partito rivoluzionario.

La prima relazione, “Il programma di transizione oggi: la questione sindacale”, trattata dal compagno Antonino Marceca, ha affrontato la centralità del programma transitorio, quale guida essenziale nell’azione pratica dei comunisti e, in particolare, nella sua applicazione alla lotta sindacale. Il relatore partendo da una dettagliata analisi degli stadi della coscienza di classe − spontanea ed istintiva nel suo nascere, tradeunionista e rivendicativa nel suo livello superiore − ha evidenziato come la coscienza socialista, non essendo un dato ontologico nella classe operaia, deve essere portata dall’esterno. Per dirla con Trotsky, i comunisti “…non adattano il programma alle congiunture politiche o al pensiero o allo stato d’animo delle masse; adattano il programma alla situazione oggettiva come essa è rappresentata dalla struttura economica di classe della società (...) il compito del partito è portare la mentalità arretrata delle masse in armonia con i fatti oggettivi”[1].

Ma, al contempo, il programma comunista, non essendo una ricetta salvifica e una sterile predicazione utopica, mostra la necessità di costruire costantemente un ponte tra le rivendicazioni parziali e la prospettiva socialista. La necessità del programma transitorio, dunque, lungi dal riflettere un contenuto ideologico, rappresenta il principale strumento per guadagnare la maggioranza dei lavoratori alla rivoluzione socialista. Da questa prospettiva, il compagno Marceca, approfondiva il rapporto tra il programma transitorio e la politica sindacale: in definitiva il ruolo dei comunisti nei sindacati di massa. Dopo una dettagliata analisi delle principali organizzazioni sindacali del movimento operaio italiano (Cgil e sindacalismo di base - extraconfederale), la loro composizione politico-organizzativa, le loro origini e la loro evoluzione, il relatore, riattualizzando le impostazioni della IV Internazionale delle origini e l’impianto della concezione leninista, ben evidenziava che la lotta dei comunisti nelle organizzazioni sindacali deve essere finalizzata a costruire un’egemonia alternativa alle burocrazie sindacali. In definitiva i comunisti rivoluzionari non possono limitarsi ad essere sindacalisti, ma, per dirla con Lenin, “ tribuni del popolo”, impegnati costantemente a mutare il corso delle lotte nella direzione della prospettiva rivoluzionaria.

 

Il programma di transizione e la sua applicazione nella storia

 

Il tema del programma comunista era ripreso dalla compagna Fabiana Stefanoni con la relazione “Il programma di transizione e alcune esperienze storiche: 1917 ‘Tesi di aprile’; 1926 ‘Tesi di Lione’; nascita della Quarta Internazionale”. La relatrice affrontava l’origine storica del programma transitorio, evidenziando come la Quarta Internazionale delle origini avesse riattualizzato le impostazioni politico-programmatiche espresse dal partito bolscevico e dai primi quattro congressi dell’Internazionale Comunista. Anche in questo caso, come nella prima relazione, la natura del programma comunista non è emersa da un'impostazione ideologica, ma seguendo anzitutto un’interpretazione non speculativa dei testi utilizzati.

La relazione ha mostrato come la concezione del programma transitorio, non rappresentando una pura enunciazione di desideri, ma un metodo e una guida per l’azione nell’esperienza pratica dei comunisti, abbia avuto un ruolo fondamentale in alcune esperienze storiche del movimento comunista internazionale. Il programma transitorio ha costituito, in definitiva, il codice fondamentale della costruzione del partito bolscevico e al contempo ha rappresentato una guida imprescindibile per la Rivoluzione d’ottobre.

Il programma transitorio, espresso con le “Tesi d’aprile” da Lenin nel 1917, ha indicato alla classe operaia e contadina russa la necessità di rompere ogni collaborazione con la borghesia e al contempo, nel vivo della rivoluzione antizarista, ha dimostrato alle masse che la soluzione delle conquiste parziali (pace, lavoro e pane) erano possibili solo con la presa del potere da parte dei Soviet. In definitiva, in assenza di un programma di rivendicazioni transitorie non sarebbe stata possibile la rivoluzione in Russia.

La relatrice evidenziava come senza quel programma transitorio e in assenza di un partito bolscevico, malgrado l’enorme potenzialità espressa dal movimento operaio italiano nel “biennio rosso” (1919-1920), non fu possibile la rivoluzione. Un’esperienza storica, quella del movimento comunista italiano, piena di contraddizioni ed errori. Le “Tesi di Lione” rappresentarono, senz’altro, un’esperienza importante per il movimento operaio italiano poiché, superata la prima fase estremistica del Pcd’I, emerse la concezione espressa dall’Internazionale Comunista sul “fronte unico” e sul “governo operaio”. Ma, al contempo, la concezione, espressa in particolare da Gramsci, sulla bolscevizzazione e sulla campagna anti trotskista faceva affiorare gravi ambiguità ed inadeguatezze che, come evidenziato dalla compagna Stefanoni, si riprodussero anche sullo terreno programmatico in merito alla proposta di “assemblea costituente” e alla “questione meridionale”.

 

La fine della prospettiva rivoluzionaria in Italia

 

La terza relazione trattata dal compagno Ruggero Mantovani, “Dal Pci di Togliatti al Prc di Bertinotti: una storia di collaborazione di classe”, affrontava il ruolo dello stalinismo italiano e la fine della prospettiva rivoluzionaria: una ricostruzione storica della strategia politica che il più grande partito comunista d’occidente ha perseguito fin dal 1943 con la “svolta di Salerno”, realizzando, sotto la direzione di Stalin, la politica di collaborazione di classe ed entrando, dal 1945 al 1947, in tutti i governi della borghesia liberale.

Una strategia incubata e perseguita nei trent’anni successivi dall’opposizione, in cui “la via italiana al socialismo”, imposta da Togliatti all’VIII congresso del Pci nel 1956, rappresentò l’involucro ideologico di quella prospettiva, il cui esito fu, negli anni settanta, il compromesso storico bellingueriano. La fine del Pci nel 1991, in definitiva, mostrava la crisi storica dello stalinismo su scala internazionale e il fallimento della politica di collaborazione di classe a cui i partiti stalinisti approdarono fin dalla politica dei “fronti popolari” nel 1936.

La nascita del Prc nei primi anni Novanta non rappresentò un fatto artificioso, ma fu caratterizzata dalla necessità di ricostruire un movimento operaio autonomo e indipendente dai governi della borghesia liberale. Qui il paradosso: nonostante la fine del Pci avesse mostrato il fallimento della politica di collaborazione di classe, il gruppo dirigente del Prc, per cultura, impostazione e formazione, si apprestava a costruire la rifondazione sulle basi di quel fallimento.

Tutta la vicenda del Prc, per oltre quindici anni, ha evidenziato, dall’opposizione al governo, questa prospettiva, che tanto più oggi, con l’entrata nel governo borghese dell’Unione, mostra la storia di una rifondazione mancata.

 

Il revisionismo storico e la necessità della costruzione di un nuovo partito rivoluzionario

 

La quarta relazione trattata dal compagno Francesco Ricci, “Le radici del riformismo e la necessità della costruzione del partito rivoluzionario”, ha ricostruito il lungo e complesso quadro storico che ha caratterizzato la lotta al revisionismo, sia socialdemocratico e sia stalinista, e la necessità di riattualizzare il marxismo rivoluzionario sulle proprie basi e fondamenta.

Il relatore, attraverso una minuziosa ricostruzione storica dei principali avvenimenti, mostrava come la borghesia, dopo la rivoluzione francese, perse progressivamente la sua carica rivoluzionaria e dopo la prima rivoluzione industriale comprese che, con l’emergere del proletariato industriale, nasceva il proprio seppellitore. Ma le prime organizzazioni operaie, come ad esempio la “Lega dei Giusti”, ancora risentivano delle impostazioni ideologiche della borghesia radicale: un socialismo che Marx ed Engels nel 1948 col Manifesto del Partito Comunista, definivano piccolo borghese, il quale riteneva, come nel caso del produnismo francese, di bruciare la proprietà privata a “fuoco lento”.

La necessità di rompere con le originarie impostazioni piccolo borghesi, che caratterizzò gran parte della lotta teorica e politica di Marx ed Engels nella prima Internazionale, era imposta dalla realtà: la Comune di Parigi rappresentò, come asserì Marx, il primo esperimento in cui la classe operaia si pose l’obbiettivo della presa del potere. Il compagno Ricci ben evidenziava che la nascita dei partiti socialdemocratici e della II Internazionale, che si svilupparono nel decennio precedente alla prima guerra mondiale, furono l’effetto combinato della dinamica espansiva dell’economia capitalistica e la politica riformista dei gruppi dirigenti, sindacali e politici, del movimento operaio.

Una politica che produsse deformazioni sia nell’esperienza pratica, facendo nascere burocrazie e specifici privilegi all’interno del movimento operaio; sia sul terreno teorico introducendo impostazioni estranee al marxismo, a partire dalla collaborazione di classe e dal rifiuto della rivoluzione e della dittatura del proletariato.

Un’infezione, quella socialdemocratica, che nella sua base materiale si è riprodotta con lo stalinismo che, dal “centrismo burocratico”, divenne, nella prima metà degli anni Trenta, con la politica di “fronte popolare”, una tendenza organicamente controrivoluzionaria.

Tutta la storia dei comunisti conseguenti è stata costantemente segnata dalla ricostruzione del movimento operaio su basi indipendenti: Marx ed Engels lottarono nella prima Internazionale per il recupero dei fondamenti espressi nel Manifesto del Partito Comunista; Lenin e Rosa Luxemburg lottarono dentro la II Internazionale contro il revisionismo socialdemocratico e per il recupero del marxismo; l’opposizione di sinistra negli anni Venti e successivamente la IV Internazionale delle origini lottarono contro lo stalinismo per riattualizzare il bolscevismo e l’ottobre.

Un itinerario storico politico, quello descritto dal relatore, che, tanto più oggi, conferma che la costruzione del partito rivoluzionario rappresenta sia l’unica risposta alla crisi dello stalinismo e del riformismo, sia un compito imprescindibile per la liberazione delle masse popolari.



[1] L. Trotsky “Completare il programma e metterlo alla prova” (1938)

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