No alla violenza
maschilista
Sullo stupro di
gruppo di Parma
Commissione Lavoro
Donne - Pdac
Nel dicembre scorso si è aperto il
processo per lo stupro di una ragazza, avvenuto nel centro sociale Raf (Rete
AntiFascista) di Parma. Non vogliamo riparlare della dinamica agghiacciante,
degli orribili dettagli che sono emersi, degli anni di insulti, minacce e offese
perché significherebbe sottoporre ancora questa giovane ad altra violenza ed
oppressione: se ne è parlato tanto attraverso comunicati e strumentalizzazioni
che negli ultimi giorni dello scorso anno si sono succeduti con velocità
impressionante, soprattutto da parte di chi sapeva e che per troppo tempo è
rimasto in silenzio, sottoponendo così questa giovane ad ulteriori vessazioni.
A lei esprimiamo tutta la nostra solidarietà di donne rivoluzionarie,
sperando di darle abbastanza forza per proseguire questa battaglia condotta
silenziosamente e in solitudine per tanti anni (i fatti risalgono al 2010) ed
emersa per cause non ascrivibili alla ragazza (nel 2013 a seguito di una
indagine per altri fatti).
Non deve scandalizzare che abbia percorso, più o
meno volontariamente, la via della magistratura borghese per tutelarsi: non
bisogna confondere infatti il ricorso alla magistratura borghese per la tutela
dei diritti democratici, siano essi individuali o collettivi, con le divergenze
politiche le cui risoluzioni trovano spazio in altri luoghi. Con l’ignobile
pretesto di non denunciare agli organismi giudiziari borghesi quelli che sono
stati chiamati “compagni”, alla giovane donna è stato chiesto di tacere e tutti
hanno taciuto su un efferato atto di violenza maschilista: insomma, la scelta è
stata quella di difendere “l’immagine” del movimento nel suo complesso anziché
prendere la distanza da chi ha offeso il movimento stesso con i suoi atti
violenti, piuttosto che denunciare uno stupro e manifestare solidarietà ad una
donna, una compagna offesa nel più crudele dei modi.
Immaginiamo con rabbia la doppia violenza
che questa donna ha dovuto subire: prima violentata selvaggiamente, poi
pretestuosamente accusata di essere un “infame” per la sua legittima denuncia.
Come se un operaio, bastonato dal padrone sul luogo di lavoro, dovesse temere di
essere accusato di “infamia” se denunciasse il fatto alle istituzioni borghesi,
per tutelare la sua persona.
Oggi ci sono in quell’area politica persone,
uomini e donne, che, non comprendendo il problema del maschilismo nella nostra
società, non comprendono la gravità di quanto accaduto, ma continuano
ostinatamente a coltivare omertà e conformismo alla peggior moralismo borghese.
Ciò nasce dall’idea illusoria e sbagliata che ci possano essere spazi in questo
sistema immuni dai mali connaturati al capitalismo: il maschilismo così come
l’omofobia o il razzismo, sono parte del sistema in cui nasciamo, cresciamo e
veniamo educati. Il maschilismo non è una condotta individuale adottata da
alcuni uomini e da altri no, ma un’ideologia utilizzata nell’odierno sistema
capitalista per giustificare l’oppressione delle donne, soprattutto ricorrendo
ad alcuni stereotipi trasmessi dalla scuola, dalla famiglia, dalla religione,
attraverso i mezzi di comunicazione e da tutte le istituzioni. Non è sufficiente
dichiararsene immuni o apporre una targa su un luogo per allontanarli.
Va
condotta invece una battaglia quotidiana e costante che permetta di affrontarli
con gli strumenti a disposizione da compagni e compagne insieme, attraverso la
formazione, attraverso la denuncia politica, attraverso l’intolleranza anche del
più piccolo gesto o atto. Gli uomini lavoratori che praticano atti di
maschilismo e difendono quest’ideologia finiscono, più o meno consapevolmente,
per difendere i padroni. Quando un lavoratore smette di praticare atti
maschilisti ed assume le rivendicazioni contro l’oppressione femminile,
indebolisce l’obiettivo dei padroni di dividere per sfruttare. Ad ogni diritto
che è strappato alle donne, è commesso un sopruso in più ai danni dei diritti di
tutti i lavoratori.
In questo, riteniamo, si trova il presupposto per la
vera solidarietà di classe: una battaglia di uomini e donne della classe
lavoratrice, disoccupati, immigrati, studenti, uniti per sconfiggere il
capitalismo con tutte le sue forme di oppressione e di sfruttamento. Le
condizioni materiali di una società basata sul profitto e sullo sfruttamento
della maggioranza dell’umanità causano l’oppressione femminile, che nessuna
ideologia ugualitaria, nessuna propaganda, nessun progetto solidale potranno mai
superare. L'emancipazione della donna dalla violenza e dalla doppia oppressione
capitalista non potrà vedere la luce se non attraverso la lotta che pone al
centro la questione operaia: l'emancipazione della donna e l'emancipazione della
classe operaia vanno di pari passo, non si possono realizzare se non insieme,
attraverso una lotta che ha per obiettivo la rivoluzione della classe del
proletariato.
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